Il mondo va sempre di più verso la sostenibilità. I dati delle vendite di auto in Norvegia sono impressionanti: il 77,5% delle nuove auto vendute in settembre erano elettriche. Da oltre un decennio la penetrazione dell’elettrico cresce senza sosta, spinta da incentivi fiscali, esenzioni per i pedaggi stradali e altre agevolazioni.
Questo andamento si accompagna a un forte utilizzo di energia da fonti rinnovabili: la Norvegia genera la quasi totalità della sua elettricità attraverso l’idroelettrico, di cui è il sesto produttore mondiale.
Nonostante questo quadro virtuoso, nell’ultimo decennio il consumo di petrolio in Norvegia è salito del 7%. Questo dato può sembrare sorprendente e in contraddizione con quanto scritto sopra, ma è spiegato da diversi fattori potenzialmente rilevanti anche per altre economie.
Prima di tutto, ruotare il parco auto richiede tempo: solo il 12% delle auto in circolazione alla fine del 2020 in Norvegia erano elettriche. Inoltre, il numero complessivo di auto private è salito da 2,3 a 2,8 milioni nell’ultimo decennio e quindi il ruolo dei trasporti pubblici è forse ancora più importante della tipologia di auto. Infine, la domanda di petrolio non è limitata ai trasporti: pesano molto il riscaldamento degli edifici, l’industria ecc.
Questo esempio ci mostra tutta la complessità della conversione verde dell’economia e come il concetto di sostenibilità – di un prodotto, un’azienda o un investimento – debba essere analizzato da più punti di vista e senza eccessive semplificazioni.
Ridurre le emissioni di CO2 è giustamente prioritario in tutto il mondo avanzato. Si tratta di una sfida di enorme portata: i governi dovranno costruire nuove infrastrutture ed emanare nuova regolamentazione, le aziende dovranno riconfigurare i propri modelli produttivi e distributivi (quando non gli stessi prodotti) e la ricerca sarà fondamentale per trovare nuove soluzioni che facilitino questa transizione.
Ma i combustibili fossili soddisfano ancora l’80% della domanda di energia globale e stimiamo che serviranno almeno vent’anni per ridurre la nostra dipendenza – questo ipotizzando che le fonti rinnovabili continuino a crescere all’elevato tasso dell’ultimo decennio (media annuale del 12%).
Per questo un approccio semplicistico può rivelarsi controproducente. Cosa succederebbe se la gran parte degli investitori decidesse di vendere ogni posizione legata all’industria petrolifera? Questa scelta sottrarrebbe risorse per sviluppare nuove tecnologie – utili magari a ridurre le emissioni di CO2 (carbon capture) – e creerebbe tensioni alle catene di approvvigionamento, come è successo negli ultimi due anni, portando a maggior inflazione.
Inoltre, senza detenere azioni nelle società petrolifere, gli investitori votati alla sostenibilità non avrebbero la possibilità di influenzarne i comportamenti, indirizzandoli verso un minor impatto ambientale. In aggiunta, in altre industrie controverse l’uscita degli investitori sostenibili dal capitale non ha portato benefici sostanziali (come nel caso dei produttori di liquori).
Tutto ciò prima ancora di considerare gli aspetti sociali, come l’impatto sull’occupazione derivante dall’uscita da determinati settori o gli effetti collaterali per ambiente e lavoratori derivanti dall’improvvisa esplosione della domanda di altre materie prime sostitutive. La produzione di auto elettriche e batterie, per esempio, spinge la domanda di grafite, litio, cobalto, e rame, la cui produzione in alcuni casi implica cattive condizioni di lavoro nei Paesi produttori.
Sostenibilità dal punto di vista degli investimenti
Da un punto di vista finanziario e di portafoglio, i mercati attraversano dei cicli e nessun comparto sovraperforma in eterno. Escludere tout court un settore produttivo esporrebbe un investitore a periodi di sottoperformance.
Un investitore che ha a cuore la sostenibilità mira a coniugare ambiente, società e governance con la performance finanziaria, creando un circolo virtuoso. Si tratta di un equilibrio delicato che richiede analisi approfondite e, talvolta, la capacità di accettare compromessi, cercando strada facendo di modificare i comportamenti delle società partecipate.
Per queste ragioni il mondo della sostenibilità continua a evolversi: se nel 2018 il 65% degli asset erano investiti escludendo alcuni settori considerati controversi, oggi questa percentuale è scesa al 45% (dati Global Sustainable Investment Alliance).
È invece sempre più importante l’innovazione tecnologica per contrastare i cambiamenti climatici, tanto che sui mercati si è coniato il termine «greentech» per indicare quelle società che sviluppano nuove tecnologie per la soluzione di problemi ambientali.
La strada verso la sostenibilità passa per un approccio pragmatico, multidimensionale e votato all’innovazione.