Come donna che ha costruito la sua carriera nel settore finanziario, so per esperienza diretta che si tratta di un’industria fortemente dominata da uomini, in cui l’atmosfera può essere molto ostile. Un aspetto positivo, però, è che vedo un certo cambiamento in atto: un numero sempre maggiore di donne sta entrando nel settore, e molte di loro stanno assumendo posizioni di rilievo.
Ritengo che il clima all’interno del settore finanziario sia diventato meno ostile che in passato, in quanto le aziende stanno cominciando a rendersi conto che tra le donne si possono trovare buoni talenti, in misura molto maggiore di quanto si aspettassero. Tuttavia, c’è ancora un grande divario che deve essere affrontato.
A livello globale, meno di un istituto finanziario su cinquanta ha una ceo donna e solo il 20% dei membri dei consigli di amministrazione sono di genere femminile. Tra le società del FTSE 100, ci sono solo nove ceo donne e solo il 9% delle 413 donne nei relativi consigli di amministrazione ricopre ruoli esecutivi. Questa situazione, oltre a essere un caso di sottorappresentazione, va anche a discapito della performance aziendale.
Secondo il FMI, un consiglio di amministrazione più equilibrato dal punto di vista del genere porta infatti a una maggiore diversità di pensiero, e quindi a decisioni aziendali migliori. Non si tratta solo di speculazioni: esiste una correlazione diretta tra la presenza di donne nei vertici e la buona gestione aziendale.
C’è da chiedersi perché la disuguaglianza permanga.
La finanza è storicamente un settore maschile, dove vige una cultura che tende a promuovere gli uomini rispetto alle donne altrettanto o più qualificate e dove esiste un netto divario retributivo tra uomini e donne in ruoli equivalenti,. In un ambiente del genere, superare le barriere è molto più difficile quando si è da sole, senza un supporto o un modello a cui ispirarsi: il numero relativamente basso di insegnanti donne, e un numero ancora minore di capi donne che possano tracciare un percorso da seguire, complica ulteriormente la situazione. Si crea così un circolo vizioso in cui la carenza di esempi di riferimento si traduce in minori opportunità per le donne di diventare loro stesse il prossimo modello.
Esistono iniziative che mirano a contrastare questo problema, per esempio attraverso il mentoring: pensiamo alla campagna portata avanti dal 30% Club, che ha raccolto l’adesione di oltre 1000 ceo e presidenti di oltre 20 paesi, impegnati a raggiungere il 30% di rappresentanza femminile nei loro consigli di amministrazione. Gli sforzi per migliorare la rappresentanza femminile nelle posizioni di vertice stanno iniziando a dare i loro frutti e la presenza di donne in queste posizioni contribuisce a promuovere un cambiamento continuo. È necessario un sostegno dall’alto: ceo donne che spingano fino alla base dell’organizzazione. Peraltro, la presenza di donne influenti aiuterà a mitigare l’atmosfera “ad alto contenuto di testosterone” che ancora persiste in molti luoghi e consentirà di creare un ambiente di lavoro più piacevole per tutti.
Donne nella finanza: le economie avanzate sono davvero tali?
È interessante guardare come le economie europee si confrontano con quelle emergenti. L’area con la percentuale più alta di donne dirigenti bancarie è l’Africa subsahariana, mentre l’America Latina e i Caraibi hanno la percentuale più bassa; le economie “avanzate” si trovano a metà strada. Questo suggerisce che il concetto stesso di “economia avanzata” potrebbe essere fuorviante, dal momento che, secondo il FMI, “le banche con quote più elevate di donne nei consigli di amministrazione hanno riserve di capitale più alte, una percentuale inferiore di prestiti in sofferenza e una maggiore resistenza alle tensioni” .
È realistico auspicare alla parità di rappresentanza delle donne a tutti i livelli dell’economia – dai consumatori ai proprietari di piccole imprese agli amministratori delegati – oppure stiamo chiedendo troppo? A tal proposito, la baronessa Helena Morrisey, fondatrice del 30% Club, ha raccontato un episodio in cui un presidente del FTSE ha affermato che la sua campagna stava “cercando di distruggere le imprese britanniche”. È dunque chiaro che gli sforzi per raggiungere l’uguaglianza continuano a incontrare una resistenza aggressiva da parte di alcuni ambienti, il che rende ancora più necessario un cambiamento innanzitutto culturale.
Ne varrà la pena? A mio avviso, le economie più competitive del futuro saranno quelle in grado di sfruttare al massimo i talenti a livello nazionale e attrarre i migliori talenti internazionali. Per riuscirci, sarà importante promuovere un maggior numero di donne ai vertici, ma anche agire come mentori per coloro che ci seguono, sfidando gli atteggiamenti regressivi e costruendo una cultura che possa finalmente permettere una vera parità di genere.