Nel secondo trimestre dell’anno dovremo fare i conti con la persistente debolezza delle materie prime (fino a quando il petrolio non dovesse tornare oltre quota 43.50 non vediamo possibilità di scenari strutturalmente rialzisti) e con l’andamento dei listini azionari sui quali notiamo due velocità di movimento. Sul fronte Usa, la ricerca di rendimenti offerti dall’azionario anziché dal reddito fisso continua a fasi alterne, con lo S&P500 che non ha ancora rotto i supporti principali posti in area 1,800.00, mentre in Europa le borse sembrano risentire maggiormente degli effetti legati alle prospettive economiche piuttosto che godere dei potenziali benefici derivanti da un QE che non sta mostrando gli effetti desiderati.
1.Effetto Draghi: Euro in ripresa sul dollaro
Euro con tassi a zero (e che rimarranno tali, se non più bassi, per molto tempo) e dollaro che sta vivendo un momento di pausa in una fase di normalizzazione della politica monetaria americana. Questo il riassunto dei principali market mover che potrebbero andare ad influenzare l’andamento del cambio EurUsd nel prossimo trimestre. L’idea di seguire un dollaro in indebolimento fino a quando non si stabilizzeranno a livello temporale le aspettative circa il secondo rialzo di tassi negli Stati Uniti e soprattutto sul ritmo relativo al ciclo di normalizzazione del costo del denaro, ci sembra ragionevole ed è per il momento confermata dal mercato.
Un euro in rafforzamento dopo che Draghi ha sparato molte delle cartucce a propria disposizione, unitamente a vendite di dollaro americano (dato il mix non entusiasmante di rilevazioni macroeconomiche) alla ricerca di livelli più convenienti dove pensare a posizionamenti lunghi di biglietto verde per sfruttare il duplice vantaggio derivante dall’effetto prezzo e dall’effetto tassi. Questa la logica che muove l’andamento del cambio e che potrebbe condurre le quotazioni verso le aree di attrazione e di resistenza poste tra 1.1500 e 1.1750, zone dalle quali cominceremmo a valutare possibili ripiegamenti verso 1.1000/1.0500.
2. Yen, potenzialità di ulteriore rafforzamento sul dollaro
Nel corso degli ultimi mesi abbiamo assistito a fenomeni di decorrelazione che hanno interessato, a fasi alterne, lo yen e il dollaro americano. Se, infatti, il mercato ci aveva abituato a ragionare in termini di valuta rifugio quando i listini azionari andavano a correggere nei momenti di avversione al rischio, attualmente il “fattore dollaro” è riuscito a ritagliarsi un ruolo da protagonista, soprattutto in concomitanza con le comunicazioni che arrivano dagli States. Comunicazioni a livello di prospettive di politica monetaria e talvolta (ma solo talvolta) che riguardano le pubblicazioni macroeconomiche di maggior rilievo.
Questa duplice caratteristica del UsdJpy potrebbe condurre a fasi di mercato che vedono uno yen in potenziale rafforzamento contro il dollaro americano sul quale, se dovessimo scendere oltre quota 110.00, si potrebbero aprire delle strade verso anche quota 105.00. 500 punti all’interno dei quali dovremo prestare attenzione a potenziali interventi da parte della Bank of Japan che, notoriamente, ha implementato il QQE al fine di risollevare le sorti dell’inflazione nipponica tornata pericolosamente vicino allo zero e con essa (in maniera implicita) del dollaro contro lo yen (si legga ricerca di svalutazione non dichiarata).
Sarà importante ragionare sui livelli tecnici che il cross raggiungerà quando le aspettative sul ritmo dei rialzi in Usa dovessero effettivamente formarsi. In caso di UsdJpy pesante (dollari venduti fino a questo momento come visto in precedenza e possibili appesantimenti in caso di borse vendute) e di EurUsd in ritorno all’interno dell’ampio range tra 1.0500 e 1.1000, il raggiungimento dei minimi battuti nel 2013 potrebbe rivelarsi uno scenario plausibile. Non possiamo tuttavia escludere delle ripartenza a ribasso dello yen, soprattutto in caso di ripartenza dei listini azionari, ipotesi da non sottovalutare da qui all’estate, con la nostra attenzione posta all’area di 130.00 (raggiungibile in caso di mancato superamento ribassista di zona 124.75), dalla quale potrebbero continuare movimenti che per il momento non stimiamo comunque sopra area 135.00.
3. Il timore Brexit indebolisce la sterlina?
Che la Bank of England sia da ritenere un follower della Federal Reserve ormai è fuori di dubbio. Il primo ritocco a rialzo del costo del denaro da parte delle autorità inglesi potrebbe infatti seguire la prossima mossa della Federal Reserve che, fino a quest’estate, potrebbe decidere di proseguire con la pausa nell’inasprimento della politica monetaria a stelle e strisce. I dati macroeconomici suggeriscono un lieve miglioramento della congiuntura, con l’inflazione tornata in territorio positivo (seppur poco sopra lo zero, con l’ultima rilevazione a 0.3%), il Pil che si mantiene sopra il 2% ma che potrebbe mostrare ulteriori segni di rallentamento (siamo al 2.1%, in discesa dal 3% di picco dell’estate 2014) e il tasso di disoccupazione stabile al 5.1%. Il tema principale di discussione sarà però presumibilmente rappresentato dal referendum che chiederà al popolo britannico un parere sull’uscita o meno dall’Unione Europea.
La sterlina ha già cominciato, soprattutto contro dollaro americano, a scontare segnali di debolezza, raggiungendo a fine febbraio il livello di 1.3835 per poi partire con un rimbalzo fino ad area 1.4500, dalla quale è cominciato un restringimento di volatilità che potrebbe perdurare e ricondurre le quotazioni verso area 1.4000/1.3850, dove eventualmente valutare eventuali tentativi di raggiungimento dei minimi pluriennali posti in area 1.3500.
Sul fronte euro il trend di ribasso della sterlina risulta ancora ben definito ed i livelli di attrazione naturale per i prezzi posti in area 0.8100 potrebbero essere raggiunti. Se dovessimo assistere al superamento di tale area, potremmo tentare degli approfondimenti verso 0.8250, area sotto la quale valuteremo potenziali formazioni di divergenze ribassiste settimanali. In caso di loro formazione potrebbe risultare interessante studiare dei potenziali ritorni verso area 0.7750, livello comunque non cruciale per valutare potenziali ripartenze sostanziali del pound.
4. Svizzera, la perdita di credibilità della SNB
Non arrivano novità di nessuna sorta dalla Svizzera, con la SNB che sta gradualmente ricostruendo le proprie riserve valutarie, riproponendo a fasi alterne commenti circa le possibilità operative che l’istituto avrebbe per contrastare eccessive rivalutazioni del franco svizzero. Retorica, per il momento, e credibilità da riacquistare. Sul fronte economico non possiamo annoverare dei miglioramenti sostanziali, anzi. L’inflazione continua a mantenersi in territorio negativo ed il tasso di crescita del Pil si sta avvicinando pericolosamente allo zero, con le ultime rilevazioni che hanno fatto segnare, rispettivamente, -0.8% e 0.4%.
La disoccupazione si sta stabilizzando su livelli superiori al 3.5% e, a meno di rientri veloci sotto tale soglia, potrebbe stabilizzarsi intorno al 4%. L’andamento del franco svizzero è ancora influenzato dal post SNB e notiamo una buona specularità di andamento tra EurUsd e UsdChf, il che potrebbe mantenere le quotazioni del cross EurChf all’interno del range 1.0750/1.1050, area alla quale occorrerà prestare attenzione in quanto propedeutica (in caso di violazione) a potenziali svalutazioni della divisa domestica che non ci attendiamo comunque oltre area 1.1200. Il confine da superare per valutare rivalutazioni sostanziali del franco passa per 1.0500, area raggiungibile in caso di abbattimento di 1.0650.
5. Russia, pesa ancora il petrolio
Non tende a migliorare la situazione di pesantezza sui prezzi delle materie prime, tanto che la Russia potrebbe decidere di tagliare la spesa pubblica del 10% durante il 2016, al fine di mantenere il rapporto tra deficit e Pil entro il limite stabilito del 3%. Il tasso di inflazione è migliorato sensibilmente e le ultime rilevazioni mostrano un ritorno sotto la soglia del 10% (siamo intorno all’8%), il che dimostra come il processo di normalizzazione della politica monetaria del Paese cominci a mostrare i primi effetti, pur rimanendo la crescita economica sotto pressione, con il 2015 chiuso a -3.80% ed il 2016 che potrebbe mostrarsi ancora in territorio negativo registrando tuttavia potenziali lievi miglioramenti (un range tra il 2% ed il 3% risulta ancora d’attualità secondo le nostre stime). La situazione politica interna appare relativamente stabile ed il ritmo di rallentamento della congiuntura dipende principalmente dall’andamento del prezzo del petrolio, il quale, fino a quando non ci avvicineremo a quota 43.50, non si potrà dire in ripresa strutturale.
Sul fronte rublo abbiamo assistito all’effettivo raggiungimento dell’area stimata tra 92 e 94, dalla quale sono partite correzioni che hanno fatto poi raggiungere nuovamente le aree di massimo prima di partire con un approfondimento più importante alla quale ha contribuito l’indebolimento generalizzato del dollaro americano (che ha spinto il cambio UsdRub a ripiegare da area 86 ad area 68) sulla scia di, come visto, aspettative di rimando nel prossimo rialzo di tassi negli Usa. Di fronte ad un quadro del genere curiamo l’area che si distribuisce tra 81.50 e 83.50 come potenziale resistenza che se dovesse intervenire potrebbe condurre le quotazioni verso area 75.00, dalla quale potrebbe essere possibile considerare potenziali ripartenze verso area 72.50, il vero scoglio da superare prima di poter ipotizzare delle riprese verso area 67.50.
6. Il Brasile tra impeachment e stagflazione
Continua la sofferenza del Brasile. Il Paese, già in stagflazione, ha visto la propria crescita rallentare ulteriormente (Pil a 5.90% su base annua) con livelli di inflazione a 10.36% che si sono mantenuti relativamente stabili rispetto agli ultimi due trimestri e che non accennano a migliorare. I livelli di fiducia delle imprese locali relativi all’economia brasiliana si trovano vicino ai minimi storici ed i dati relativi alla produzione industriale si trovano ai minimi dal 2010 a questa parte (-13.8%).
Non accennano a placarsi nemmeno le problematiche relative alla corruzione, con l’ultimo scandalo scoppiato a metà marzo che ha visto scendere in piazza milioni di manifestanti per richiedere le dimissioni dell’attuale presidente Rousseff, contro il quale è aperto un procedimento di impeachment a causa dello scoppio della “tangentopoli” brasiliana. L’instabilità politica, la forte corruzione e la burocrazia stanno attanagliando il Paese che, anche a causa dei prezzi bassi delle materie prime, ha continuato la sua parabola discendente. Le aspettative non sono per un miglioramento della situazione nel breve periodo. Il recupero messo in atto dal real è a nostro parere da attribuire al rafforzamento contro il dollaro avvenuto durante l’ultimo trimestre del 2015 e, parzialmente, durante la seconda metà di febbraio.
7. Cina, PBoC ancora in campo a sostegno dell’economia
Gli interventi della PBoC a sostegno dell’economia e del credito continuano. Dopo il cambio del meccanismo di quotazione dello yuan e un ulteriore taglio dei tassi di interesse (ora a 4.35%), si è deciso di continuare con l’allentamento delle riserve valutarie che le banche debbono mantenere in casa, ora a un livello minimo del 17%. Il ritmo di crescita del Paese si sta mantenendo all’interno di un trend lievemente decrescente, con le ultime rilevazioni che hanno mostrato dei decrementi a step di 0.1/0.2 punti percentuali i quali hanno condotto il Pil della Cina a variazioni annuali del 6.8%, da livelli che, un anno fa, mostravano circa un punto percentuale in più.
Il fatto di essere membri della New Development Bank (equivalente del FMI e della Banca Mondiale per i Brics) e di essere riusciti a far accettare la propria divisa all’interno del paniere di valute di riserva mondiale deciso dal FMI, oltre a dover passare da un modello di massimizzazione della crescita (trainato dagli investimenti) ad uno di crescita sostenibile (basato sui consumi), rende le visioni prospettiche per l’andamento dello yuan bidirezionali e non soltanto sbilanciato verso una ricerca, più o meno velata, di svalutazioni al fine di recuperare competitività internazionale.
In questo quadro, le prospettive di rallentamento della crescita permangono e lo yuan potrebbe, come detto, vivere momenti di bidirezionalità. Le resistenze principali si dispongono tra 7.48 e 7.50 ed in caso di loro tenuta potremmo assistere a tentativi di ripiegamento verso 7.25 ed in estensione 7.20, livello che se superato potrebbe condurre verso 7 yuan per euro. Soltanto in caso di ripartenza oltre area 7.50 potremmo assistere a tentativi di estensione verso lidi iniziali posti intorno a 7.55, livello che se raggiunto potrebbe lasciare spazio a tentativi di accelerazione importanti verso 7.68/70.
8. India, la promessa più interessante
Nuovo taglio di tassi (siamo ora a 6.50%) da parte della Bank of India che continua la propria politica monetaria in maniera “inflation oriented” (mantenersi all’interno della banda di oscillazione permessa tra il 2% ed il 6%). L’inflazione si trova all’interno della fascia di tolleranza (5.18%) accettata dalle autorità e non escludiamo ulteriori rivisitazioni a ribasso del costo del denaro al fine di stimolare gli investimenti domestici ed esteri in un ambiente i cui ingranaggi sembrano cominciare ad essere oliati.
Un importante market mover (non soltanto per l’India ma anche per tutti gli altri emergenti) continuerà ad essere il ritmo del rialzo di tassi negli Stati Uniti, che potrebbe mostrare effetti di fuoriuscita di capitali dai Brics, all’interno dei quali tuttavia l’india continua a sembrare il Paese più promettente in visione prospettica. Un range tra 70 e 78 sembra ricoprire il ruolo di scenario valutario plausibile, con attenzione rivolta a possibili fuoriuscite da tale congestione che potrebbero condurre a rivalutazioni o svalutazioni della rupia nell’ordine di due rupie per euro, segnano i potenziali confini ultimi a 68.00 o a 80.00 rupie per euro.