Per il 2018 continuiamo ad avere prospettive positive per gli Stati Uniti, l’Eurozona, la Cina e il Giappone. Le differenze principali riguardano la politica monetaria e gli eventi politici. Nello specifico, i rischi legati alle decisioni di politica monetaria da parte delle principali banche centrali globali sono aumentati, mentre la Federal Reserve continua a normalizzare la propria politica, la Banca Centrale Europea (BCE) allenta la propria espansione di bilancio, la People’s Bank of China (PBoC) adatta la politica intorno ai margini per gestire la leva finanziaria dell’intero sistema, e la Bank of Japan (BoJ) contempla la reazione più adatta sullo sfondo di questo contesto di cambiamento.
Stati Uniti – Slancio della classe media
Negli Stati Uniti prevediamo che la ripresa in corso persista per altri 3-5 anni, supponendo che non si verifichino shock esterni o improvvisi cambiamenti di politica.
La nostra tesi riguardante la ripresa statunitense si fonda ampiamente sul nascente rilancio della classe media e sul margine di azione, perché alla domanda repressa di questa massiccia schiera di consumatori venga dato libero sfogo grazie all’aumento delle retribuzioni e dei prezzi delle case. Considerando che l’aumento dei prezzi delle abitazioni ha toccato il 6% su base annua nel 2017, riteniamo che la situazione per la classe media continuerà a migliorare e potrebbe registrare ulteriori benefici nel 2018.
Attualmente prevediamo che gli Stati Uniti registreranno una crescita del PIL reale del 2,0-2,5% e un ulteriore aumento delle retribuzioni nel corso dell’anno per toccare il 3,0-3,5% nel 2018. Se il Congresso approverà eventuali significative riforme fiscali in materia di incentivazione degli investimenti, potremmo dover aumentare le nostre aspettative.
Eurozona – Decollo avvenuto
Prevediamo che l’Eurozona prosegua la crescita nel 2018, sulla scorta dell’attuale ripresa della spesa dei consumatori e delle imprese. Al momento prevediamo che l’Eurozona registri l’1,5-2,0% di crescita in termini di PIL reale. L’inflazione dovrebbe rimanere bassa e il rischio di deflazione è diminuito.
Nel 2017 l’Eurozona ha sorpreso al rialzo. Gli scenari più pessimistici che paventavano controverse vittorie politiche populiste sono stati evitati, mentre l’economia ha continuato a registrare una crescita relativamente solida del PIL. Nonostante i progressi ottenuti, la disoccupazione e la sottoccupazione rimangono elevate e l’inflazione ‘core‘ rimane bassa, suggerendo un significativo trampolino di lancio per un’ulteriore crescita. A tal riguardo, risulta particolarmente incoraggiante il fatto che negli ultimi tre anni la crescita è stata trainata dai consumi e dagli investimenti interni, anche se le esportazioni nette hanno rappresentato una zavorra per la crescita in sei degli ultimi sette trimestri.
Riteniamo che persistano rischi politici, come dimostrano i recenti eventi in Catalogna e i referendum in Nord Italia per ottenere maggiore autonomia, il che ci ricorda che le politiche europee sono instabili. Tuttavia, il calendario politico previsto nel 2018 è senza dubbio più leggero di quello del 2017: il rischio più degno di nota sarà rappresentato dalle elezioni italiane nei primi cinque mesi dell’anno. Nel complesso, segnaliamo che il populismo è vivo e vegeto negli Stati Uniti e in Europa e temiamo che una delle potenziali sorprese nel 2018 possa essere costituita da elezioni impreviste dovute allo scioglimento di coalizioni di governo o altre tensioni regionali. I governi con coalizioni deboli si trovano inoltre in una posizione sfavorevole per promuove riforme a livello di Unione europea, limitando il potenziale di importanti riforme strutturali che vadano oltre i confini nazionali.
Dopo che il voto del 23 giugno 2016 per uscire dall’UE ha sconvolto gran parte degli osservatori al di fuori del Regno Unito, il governo britannico ha lentamente avviato la procedura per dare effettivamente attuazione alla Brexit. In prospettiva, l’attuale posizione del governo britannico nell’ambito dei negoziati ci appare debole e incerta, poiché il dibattito non è andato oltre le condizioni iniziali del divorzio.
Cina – L’evoluzione economica continua
Sebbene nel 2018 la Cina sembri destinata a registrare un altro anno di crescita strepitosa del PIL reale, rimaniamo preoccupati dalla crescente dipendenza del paese dalla leva finanziaria per trainare la sua crescita, alla luce dell’erosione dei suoi vantaggi competitivi storici.
Prevediamo che nel 2018 la crescita in Cina subisca un rallentamento a un livello tra il 6,0% e il 6,5%, puntando verso un tasso di crescita del PIL reale più sostenibile, intorno al 3-4%, nel corso del tempo. Riteniamo che la leadership della Cina sposterà gradualmente il suo focus economico verso i tre obiettivi di un ambiente più pulito, una crescita di qualità più elevata e una società moderatamente prospera. Tali obiettivi possono essere raggiunti con una crescita del PIL molto più bassa rispetto agli ultimi anni visto che la popolazione in età lavorativa della Cina ha registrato una contrazione negli ultimi quattro anni. Non prevediamo fluttuazioni rilevanti del tasso di cambio, sebbene crediamo che le autorità tenteranno nuovamente di ampliare la fascia di cambio del renminbi. I tassi di interesse probabilmente subiranno un’ulteriore contrazione sul margine, ma non prevediamo spostamenti significativi della politica monetaria a questo punto.
Riteniamo che le principali sfide che la Cina dovrà affrontare siano l’indebitamento societario in costante aumento e la difficoltà di comandare una “nave” sempre più mastodontica. In Cina il debito corporate in circolazione è più che duplicato negli ultimi cinque anni. Sfortunatamente i dati non sono del tutto attendibili, ma le stime indicano che il debito corporate potrebbe superare i $22.000 miliardi in dollari USA. A tale cifra si contrappongono meno di $14.000 miliardi di debito corporate totale in circolazione negli Stati Uniti, che vantano un PIL di oltre il 50% superiore a quello cinese.
Nel 2015, il rischio di tale debito è aumentato nettamente a causa delle variazioni negative dei prezzi alla produzione. Fortunatamente il governo cinese è stato in grado di imprimere un’inflessione positiva al suo indice dei prezzi alla produzione (PPI) attraverso stimoli fiscali e creditizi, e il servizio del debito corporate è stato allentato considerando che l’accelerazione della crescita del PIL nominale favorisce una maggiore crescita dei ricavi. In futuro, ciò potrebbe non essere particolarmente semplice o auspicabile e temiamo che la situazione debitoria rimanga irrisolta.
L’altra sfida consiste nella gestione della politica monetaria di un’economia a due velocità, in cui le aree costiere, principalmente orientate ai servizi, operano in modo molto diverso rispetto alle province interne, più industriali. Abbiamo osservato che il ritmo dei cicli di contrazione e allentamento è aumentato, e riteniamo che camminare sul filo delle politiche monetarie e di crescita stia diventando più difficile man mano che la complessità dell’economia aumenta. A nostro avviso la politica fiscale, se resa più trasparente e sostenibile, potrebbe rappresentare uno strumento molto più efficace per conseguire gli obiettivi di crescita senza generare bolle nei settori più forti dell’economia.
Giappone – Ritorno sui nostri radar
Il Giappone è tornato sui nostri radar, alla luce del suo periodo consecutivo di crescita più lungo dalla crisi.
I motivi del nostro rinnovato interesse sono i seguenti:
- Il Giappone è l’unico mercato azionario principale che non appare sopravvalutato rispetto al suo andamento decennale
- Gli utili delle imprese giapponesi stanno aumentando sulla scia delle riforme della corporate governance e della più solida crescita globale
- Stanno ritornando segnali di inflazione sul mercato del lavoro.
Prevediamo che il Giappone mantenga una crescita positiva del PIL reale pari all’1% circa nonostante il calo della popolazione, visto che la crescita del suo PIL reale pro capite è in linea con quella degli Stati Uniti e dell’Eurozona. Prevediamo che l’inflazione core salga all’1% circa, senza però raggiungere l’obiettivo del 2% fissato dalla Bank of Japan, tanto meno l’obiettivo dichiarato di oltrepassare tale valore.
Se le nostre prospettive globali sono corrette, potremmo rivedere al rialzo le nostre previsioni sulla scorta della solidità delle esportazioni. Tuttavia, è importante riconoscere che solo poco più del 15% del PIL reale del Giappone è composto da esportazioni e che il paese importa una percentuale simile del PIL. Di conseguenza, il Giappone è meno dipendente dalle esportazioni di quanto credano molti investitori, proprio come gli Stati Uniti, dove meno del 15% del PIL reale è costituito da esportazioni.
Una variazione della politica monetaria è il rischio più probabile per la nostra valutazione ottimistica del Giappone. Un altro rischio è legato alle politiche protezionistiche che potrebbero venire dagli Stati Uniti. Un rischio meno probabile, ma più grave, deriva dalla Corea del Nord e dalla sua dimostrazione di forza. Uno scenario ancora più improbabile sarebbe un “incidente” nel Mar Cinese Orientale nell’ambito delle dispute territoriali con la Cina.
Implicazioni per gli investimenti
Al momento guardiamo all’economia globale con più ottimismo rispetto all’anno scorso e la nostra fiducia verso la ripresa globale si è rafforzata.
Consideriamo il reddito fisso l’asset class meno interessante, ad eccezione del debito dei mercati emergenti. Le valutazioni azionarie sono elevate, ma più interessanti del debito. Nel complesso riteniamo che le azioni siano interessanti quando prendiamo in considerazione i fondamentali societari, soprattutto il miglioramento delle prospettive di crescita degli utili.
Nel reddito fisso, guardiamo con particolare pessimismo il debito sovrano dei mercati sviluppati. Nell’Eurozona, per esempio, i rendimenti nominali sono negativi sul 50% dei titoli di Stato, il che significa che in molti casi è certo che gli investitori perdano denaro a causa di tali asset. In termini reali, una maggioranza sostanziale del debito sovrano dell’Eurozona ha un rendimento negativo. I rendimenti dei Treasury statunitensi sono più elevati, ma sono misurati a fronte di un’asticella straordinariamente bassa. Con un CPI core compreso in un intervallo tra l’1,7% e il 2,3% nel corso dell’anno scorso, il rendimento reale su un Treasury decennale è stato a malapena positivo.
La nostra opinione negativa nei confronti del debito sovrano dei mercati sviluppati prende in considerazione non solo i rendimenti correnti, ma anche la nostra previsione che il tratto lungo della curva affronterà probabilmente un’ondata di vendite nel corso dei prossimi 6-12 mesi in un momento in cui la BCE ridurrà gradualmente gli acquisti di asset, la Fed continuerà a normalizzare la propria politica e l’economia continuerà a crescere a livello globale, aumentando le aspettative di inflazione e diffondendo i persistenti timori di ribasso.
Per gli investitori non è popolare essere ottimisti verso le azioni con i mercati ai massimi storici e le valutazioni a livelli elevati. Tuttavia, ravvisiamo un rialzo nelle azioni a livello globale vista la solidità delle previsioni di crescita degli utili e considerando che gli asset a reddito fisso sono persino più costosi delle azioni. Siamo fortemente convinti che la scelta dei titoli sarà essenziale per la generazione di rendimenti negli anni a venire, visto il rischio di perdite sulla scorta di eventi imprevisti e poiché diversi paesi e società offrono livelli variabili di crescita.