La crisi del Covid-19 che è entrata nelle nostre vite da un anno a questa parte ha avuto e continuerà ad avere molte ripercussioni. La transizione tecnologica che era già iniziata è stata fortemente accelerata dalla necessità di trovare nuove vie per mantenere in moto la macchina delle nostre economie, mentre la deindustrializzazione, in atto da decenni nella maggior parte dei Paesi europei, ha fatto emergere la dipendenza del Vecchio Continente dai grandi centri di produzione dei Paesi emergenti.
Al di là di queste prese di consapevolezza, questa crisi ha – almeno in apparenza – sconfessato i dogmi dell’Unione Europea sui deficit di bilancio. Lo sforamento degli indicatori su cui per molti anni la Bce lanciava l’allarme è ora una realtà, con un sostegno ai bilanci su una scala quasi senza precedenti.
Ciò vale per la stragrande maggioranza dei Paesi sviluppati, gli Stati Uniti in testa. Un altro dogma che non è sopravvissuto alla crisi è quello della mutualizzazione del debito nella zona euro. Infatti, il “Next Generation EU recovery fund” contribuirà alla ripresa europea puntando alle aree più colpite dalla crisi, per quanto poco possa piacere ad alcuni Paesi nordici.
Grazie alle azioni eccezionalmente decise intraprese dai governi la situazione macroeconomica è ormai in netto miglioramento, con una crescita globale prevista intorno al 6% nel 2021. Anche in termini sanitari, la situazione sta migliorando con il ritmo delle vaccinazioni che sta accelerando, consentendo una graduale riapertura delle attività economiche tra il 2° e il 3° trimestre. E se si considera il risparmio dei consumatori, ci sono buone possibilità che queste previsioni di crescita migliorino ulteriormente nei prossimi mesi. Queste buone notizie hanno logicamente avuto un impatto significativo sui mercati finanziari, con i mercati azionari in forte crescita, così come le materie prime e i mercati obbligazionari che hanno registrato un aumento dei tassi nelle ultime settimane.
Il principale interrogativo, oggi, è se la crescita delle aspettative sull’inflazione sarà sostenibile o meno. L’inflazione aumenterà bruscamente nel 2021, in tandem con effetti di base molto positivi (Q2 negli USA, Q4 nella zona euro), ma al di là degli effetti temporanei, quale sarà la dinamica dei prezzi nel settore dei servizi alla riapertura dell’economia? La relocation delle industrie sarà reale e porterà all’inflazione? È difficile rispondere a queste domande oggi ed è difficile avere un’opinione chiara sulla valutazione dei punti di breakeven dell’inflazione.
In questo contesto, le prospettive dei mercati azionari ci sembrano favorevoli, con una chiara preferenza per i settori “value” che beneficiano del rialzo dei tassi (comprese le banche). Siamo più cauti sui titoli tecnologici, i cui livelli di valutazione saranno sempre più difficili da giustificare. Siamo anche cauti sui tassi d’interesse governativi e sul credito di buona qualità perché i tassi d’interesse sono ancora bassi, in particolare negli Stati Uniti.
Le obbligazioni europee dovrebbero andare meglio (grazie a molta meno pressione inflazionistica nella zona euro, meno stimoli fiscali, meno crescita, ecc.) Gli asset con spread ampi (soprattutto i titoli speculativi High Yield) dovrebbero beneficiare dei miglioramenti macroeconomici, con un effetto di restringimento degli spread che compenserà l’effetto negativo dell’aumento dei tassi. Infine, siamo molto negativi sui tassi reali americani: con una crescita del 7% nel 2021, uno stimolo fiscale pari al 10% del PIL (senza contare quello votato a dicembre) e la presa di coraggio dei consumatori, la Federal Reserve non ha a nostro avviso bisogno di mantenere condizioni finanziarie così accomodanti.