Per tutto il 2022 ci siamo concentrati sulla politica monetaria, soffermandoci sul dilemma che le banche centrali si trovano ad affrontare e della loro conseguente decisione di dare priorità alla guerra all’inflazione.
Con l’avvicinarsi del 2023, i temi non solo non sono cambiati, ma si sono intensificati. Le speranze del mercato, secondo cui la Fed avrebbe terminato la politica di inasprimento in autunno, sono state stroncate dal presidente della Fed Powell a Jackson Hole.
L’inasprimento della politica monetaria non ha ovviamente solo conseguenze economiche. Per i mercati, spostare i tassi in territorio restrittivo – a 75 punti base, anche nell’Eurozona – significa inasprire le condizioni finanziarie. Nel frattempo, l’inasprimento quantitativo è destinato ad accelerare, facendo crescere ulteriormente la volatilità dei mercati. Come posizionarsi, dunque?
Strategia sui tassi
Per la costruzione del portafoglio, continuiamo a distinguere tra i vantaggi della curva dei rendimenti e quelli delle strategie di duration.
Per essere redditizi con le operazioni di duration elevata, è necessario individuare due fattori chiave: le prospettive cicliche per la crescita e le prospettive secolari per l’inflazione. Tuttavia, per le curve dei rendimenti, le prospettive cicliche svolgono la maggior parte del lavoro. Riteniamo che i dati abbiano una maggiore visibilità sulle prospettive di crescita ciclica rispetto alle prospettive secolari di inflazione.
Su quest’ultimo punto, le domande rimangono senza risposta: gli aumenti salariali porteranno a effetti secondari (si veda il recente accordo con i ferrovieri olandesi per un aumento salariale del 9,25%) o la distruzione della domanda vedrà un forte calo dei prezzi (si veda il calo del 30% dei prezzi del petrolio da marzo)? Quale delle due situazioni sarà dominante?
Scommettere su una persistenza delle tendenze di duration, cercando di inseguire lo slancio verso rendimenti piĂą elevati, appare tuttavia rischioso.
D’altro canto, l’utilizzo del contesto storico per identificare i casi in cui le curve dei rendimenti si sono invertite in modo eccessivo, fino al punto in cui le prospettive della curva sono risultate asimmetriche, rimane, a nostro avviso, un approccio molto più vantaggioso in termini di rischio/rendimento.
Le curve dei rendimenti hanno un’inversione media ciclica nel corso del tempo, sia che si tratti di regimi di inflazione elevata (ad esempio 1965-1982), di periodi di moderazione dell’inflazione (dal 1982 alla metà degli anni Novanta) o di bassa inflazione (dalla metà degli anni Novanta al 2020). Ciò significa che le curve dei rendimenti eccessivamente invertite finiscono per dis-invertirsi e tornare a inclinarsi.
Asset allocation delle obbligazioni
Come abbiamo detto lo scorso trimestre, non riteniamo che la recessione sia ancora prezzata negli spread high yield. Da allora, i mercati del credito hanno tentato un rally estivo a luglio e inizio agosto, con la speranza di una Fed accomodante in autunno. Ciò ci è sembrato fuori luogo e abbiamo approfittato del rally per alleggerirci. Da metà agosto gli spread hanno iniziato ad allargarsi.
Certo, quest’anno i mercati del credito sono diventati più convenienti, ma solo rispetto ai livelli più costosi del dopo 2008.
In prospettiva, le speranze di un’inversione di tendenza ci sembrano eccessivamente ottimistiche, date le prospettive di politica monetaria e il margine relativamente limitato che vediamo per una politica fiscale che cambi le carte in tavola. Solo gli spread swap sull’euro si trovano a livelli di recessione o di crisi.
Negli ultimi 50 anni, ogni singolo picco recessivo degli spread creditizi è stato preceduto da un picco dei rendimenti dei titoli di Stato, di solito di molti mesi o addirittura anni. Non crediamo che questa volta sarà diverso. Ci aspettiamo di assistere a due picchi: prima i rendimenti dei titoli di Stato e poi gli spread creditizi. Il problema è che il divario potrebbe essere di diversi mesi, e forse di molti punti base, più in là nel tempo.