Il 2017 è stato su più fronti un anno all’insegna di dati economici positivi oltre le aspettative: una crescita sincrona e al di sopra del potenziale, una sostenuta diminuzione della disoccupazione e utili aziendali in forte crescita. Fatte queste premesse, guardando al 2018, pare difficile sperare in un contesto macro altrettanto positivo, laddove inoltre sembrano delinearsi all’orizzonte le prime avvisaglie di un deterioramento economico.
Nel 2018 prevediamo almeno due deviazioni degne di nota rispetto alla narrativa predominante sviluppatasi di recente sui mercati finanziari.
La prima concerne il quadro macroeconomico ed è rappresentata dal probabile ritorno dell’inflazione. Al momento è diffusa la convinzione che il regime cosiddetto “Goldilocks”, in cui a una crescita solida si unisce un’inflazione molto modesta, possa persistere. Uno scenario, quest’ultimo, ideale affinché tutte le asset class crescano di valore in un contesto di bassa volatilità. Le previsioni del mercato sull’inflazione per gli Usa, per l’area Euro e il Giappone, appaiono concilianti e tracciano un percorso assai graduale verso la normalizzazione. Noi riteniamo, invece, che l’inflazione ritornerà globalmente su livelli normali già nel corso del 2018.
La seconda sorpresa riguarderà la liquidità. Nel 2017, anche in virtù della mancanza di inflazione, le Banche Centrali hanno riversato sui mercati una liquidità eccezionale e inattesa: 2,5 trilioni di dollari, rispetto ai 1,3 trilioni del 2016 e al trilione del 2015. Un’anomalia che difficilmente si replicherà nel 2018, per il quale ci aspettiamo un afflusso di soli 500 miliardi di dollari, in chiara inversione di tendenza.
Se combiniamo le due previsioni sopra descritte, la prima conseguenza rilevante sarebbe l’importante impatto negativo sui corsi obbligazionari, che potrebbe manifestarsi anche nell’immediato. Il secondo effetto potrebbe essere il ritorno di un certo livello di volatilità nel comparto azionario, che renderebbe l’asset class nel complesso meno attraente. Questi due elementi portano congiuntamente a un’ulteriore riflessione di sintesi: nel 2018 solo una efficace gestione attiva, con un’ottimale allocazione e dinamicità di portafoglio, potrà fare la differenza e contribuire in maniera rilevante a conseguire una sovra-performance rispetto al mercato. La ricerca del rendimento sarà quindi il principale driver dell’approccio di gestione nel 2018.
Di seguito presentiamo in dettaglio le nostre previsioni sulle principali asset class, considerando le premesse macroeconomiche appena formulate e le valutazioni correnti.
• Reddito fisso. Il quadro del reddito fisso si presenta variegato, con aree in cui i livelli dei tassi sono bassi e non attraenti, come negli Usa; aree in cui vediamo probabile l’ipotesi di un investimento in perdita, ad esempio nei governativi europei; ed aree in cui le valutazioni non compensano il rischio assunto, come nel credito corporate. Esaminando in particolare il comparto creditizio statunitense è importante notare come gli Usa si trovino attualmente in una fase avanzata del ciclo economico. In tale contesto, vediamo riaffacciarsi pressioni inflazionistiche insieme ai primi segni di deterioramento macroeconomico, evidenti nella qualità del credito e in particolare nei prestiti agli studenti, nei finanziamenti per auto usate e nelle carte di credito. Vediamo qualche opportunità di investimento selettivo negli obbligazionari emergenti, asset class su cui puntiamo in maniera moderata. Scegliamo invece una duration contenuta e finanche negativa in area euro. La liquidità, in presenza di prospettive di rendimento sugli obbligazionari così deludenti, diventa quasi una scelta obbligata, “una condanna”.
• Crediamo che le valutazioni attuali dei mercati azionari quotino pienamente lo scenario macroeconomico condiviso dal mercato. Inoltre, nonostante la forte crescita durante l’anno, non vediamo ancora tale comparto vicino agli eccessivi picchi tipici dell’ultima fase di un mercato rialzista, come per esempio quelli del settore IT durante il 2000. Continuiamo a vedere margini e opportunità di acquisto in alcuni settori in Usa, dove è atteso un consistente programma di stimolo fiscale entro l’anno. Tale progetto legislativo non avrà probabilmente un impatto significativo sulla crescita (circa uno 0,2-0,3% sul PIL) ma potrebbe avere ripercussioni sostanziali sugli utili aziendali e di conseguenza sui mercati. La riduzione delle imposte per le imprese sarà generosa, intorno al 20%, con implicazioni settoriali importanti. Secondo le stime, questo si tradurrà in media in un aumento degli utili del 8% delle imprese americane, che si somma alla crescita del 10% già prevista dal mercato per il 2018. Possiamo tuttavia evidenziare notevoli differenze tra i vari settori: quelli soggetti ad un’alta tassazione marginale e che producono pochi profitti all’estero, come ad esempio finanziari, energetici e in generale le PMI domestiche, forniscono prospettive migliori. I meno favoriti sono invece settori quali IT e farmaceutico, connotati da una forte vocazione internazionale.
In questo contesto, la politica monetaria della rinnovata Fed rimane un’incognita fondamentale. Qualche indizio può essere ritrovato nelle fresche nomine effettuate da Donald Trump per il board della Fed. La triade che già siede nel comitato direttivo ci indica con sufficiente chiarezza quale direzione si intende perseguire. Troviamo infatti un esperto di deregolamentazione come Randal Quarles; il neo Governatore Jerome Powell che si muove da non economista nel percorso già tracciato da Janet Yellen; infine Marvin Goodfriend, un’autorità in politica monetaria. Basandosi su questi profili, è improbabile ritrovarsi grosse sorprese sul fronte dei rialzi dei tassi, mentre ci si può aspettare una Fed più possibilista e aperta in tema deregolamentazione. Un graduale rialzo dei tassi probabilmente non avrà un impatto rilevante per le azioni globali e potrà quindi essere assorbito senza importanti traumi, a patto che tale movimento in salita non sia repentino. In ogni caso, molti dei settori che finora hanno beneficiato dal regime dei tassi bassi è probabile che perdano questa spinta, mentre settori come quelli finanziari Usa e giapponesi e i settori ciclici europei potrebbero beneficiare dal futuro rialzo delle curve del reddito fisso globale.
• Dollaro. Il grande perdente del 2017 difficilmente potrà partire con grande slancio nel 2018. Dopo un parziale rafforzamento nella prima metà dell’anno, che si potrà possibilmente sfruttare per spunti tattici, ci aspettiamo che il dollaro prosegua lungo il sentiero di graduale indebolimento a partire da giugno. Non necessariamente vedremo un deprezzamento violento come quello avvenuto nel 2017, che ha portato il livello della valuta statunitense contro euro dall’1,03 di inizio anno al 1,19 di oggi. La nostra previsione a 12 mesi per l’Euro/dollaro è di 1,22.