I prezzi del WTI sono saliti di circa il 20% da inizio anno a fine maggio, raggiungendo livelli toccati nel 2014. Questi poi, sulla scia dei commenti provenienti da Russia e Arabia Saudita secondo cui l’OPEC discuterà la possibilità di aumentare la produzione nel corso del prossimo meeting previsto a giugno a Vienna, sono calati dell’8%, passando da 72,7 a 66,4 dollari.
Nel mese scorso, i prezzi del petrolio sono stati guidati da eventi geopolitici: a inizio maggio, Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dal Joint Comprehensive Plan of Action (il Piano d’azione congiunto globale) che prevedeva un allentamento delle sanzioni economiche all’Iran in cambio di un impegno del Paese a cessare lo sviluppo di armi nucleari. Le azioni di Trump sono state di supporto per i prezzi del greggio, in quanto gli analisti stimano che le nuove sanzioni potrebbero colpire dai 400 000 a 1 milione di barili di petrolio al giorno.
É da ricordare che l’Iran è il terzo maggiore produttore di petrolio dell’OPEC con una produzione giornaliera di 3,5 milioni di barili. Sempre sul fronte geopolitico, Trump ha messo una pressione aggiuntiva sul Venezuela, un altro Paese produttore membro dell’OPEC, con un ordine che vieta l’acquisto del debito governativo venezuelano. Questa nuova sanzione potrebbe accelerare la caduta della produzione di greggio del paese che ha già registrato un calo dai 3 milioni di barili al giorno di qualche anno fa alla quota odierna di meno di 1,5 milioni di barili.
Dal lato dell’offerta, le decisioni dell’OPEC stanno iniziando a non supportare i prezzi del petrolio con l’annuncio, a fine maggio, con cui l’organizzazione potrebbe decidere di aumentare nuovamente la produzione il che, qualora l’aumento della produzione dovesse essere sostanziale, rischierebbe di inclinare il mercato verso un eccesso di offerta nel medio termine.
Guardando all’offerta statunitense, le scorte di greggio sono lentamente aumentate nel corso delle ultime 10 settimane, ma sono rimaste a livelli relativamente bassi, intorno ai 25 giorni di offerta, in linea con la media delle scorte a 5 anni. Le scorte dell’OCSE tuttavia sono calate di 230 milioni di barili da inizio anno.
Inoltre, sempre sul fronte dell’offerta, si sono aggiunti più di 34 impianti di trivellazione nell’ultimo mese raggiungendo il livello più alto da marzo 2015. L’aumento proviene prevalentemente dai produttori statunitensi del Bacino Permiano, suggerendo che il momentum per l’offerta di petrolio negli Stati Uniti è ancora forte malgrado la recente decelerazione. L’incremento degli impianti arriva in un momento in cui le preoccupazioni di un picco di produzione sostanziale sono a un livello elevato.
La domanda di petrolio quest’anno dovrebbe rimanere solida, supportata da una crescita del PIL globale e proveniente principalmente da Cina e India. Le stime sono stabili a una crescita media di 1,5 milioni di barili al giorno, in linea con la media a 3 anni della crescita della domanda.
Malgrado la correzione recente, il prezzo resta ben al di sopra dei livelli medi di pareggio del cash flow delle compagnie petrolifere integrate. Ai prezzi attuali, tali compagnie dovrebbero continuare a mettere a segno forti risultati nei prossimi due trimestri, specialmente in Europa dove i programmi di buyback continuano a verificarsi con l’obiettivo di ridurre la diluizione registrata dagli azionisti negli ultimi due anni.