Il Bloomberg Commodity Index ha chiuso la settimana senza essere impattato dalla forte volatilità sui mercati valutari.
Nonostante i tassi d’interesse negativi, lo yen è tornato ai massimi di ottobre 2014, contribuendo a mettere pressione su valute quali BRL, ZAR e anche AUD. In Europa, il rischio Brexit continua a mettere sotto pressione sia la sterlina sia l’euro, mentre le colombe americane del Federal Open Market Committee hanno ridotto sempre di più le aspettative del mercato per tassi di interesse più elevati.
Alcuni movimenti degni di nota sono stati tuttavia riscontrati in diversi settori. L’energia ha conquistato il primo posto grazie ai forti guadagni di petrolio e gas naturale, mentre i metalli industriali sono crollati sulle preoccupazioni che la domanda cinese non sia sufficiente ad assorbire l’aumento di offerta. Le previsioni sul rame indicano un calo del 14% in un anno.
I disordini sul mercato Forex hanno indebolito anche i titoli azionari, a vantaggio dei metalli preziosi. L’oro, dopo aver trovato supporto, è andato alla ricerca di una resistenza. Un recente report del World Gold Council ha evidenziato l’impatto positivo dei tassi di interesse negativi sui metalli preziosi.
Zucchero e caffè escono da una brutta settimana, tra l’andamento dell’offerta e le fluttuazioni del real brasiliano. Lo zucchero è stato particolarmente colpito dalle speculazioni di potenziali tagli ai prezzi del carburante da parte della statale Petrobras, calando del 14% dal suo picco del 24 marzo. La domanda di etanolo potrebbe ridursi, aumentando la disponibilità globale di zucchero.
Doha, le scorte USA e il contango che sparisce – dove focalizzarsi?
I mercati petroliferi continuano ad agitarsi. Nel complesso, il mercato si è sensibilmente ripreso dopo due settimane di perdite conseguenti il crollo a sorpresa delle scorte americane, contribuendo a calmare le acque agitate in vista dell’incontro di Doha del prossimo 17 aprile tra produttori (Opec e non) e della possibilità che non si raggiunga il tanto sperato accordo per un congelamento della produzione. Si è fatta strada tra i trader la convinzione che si sia toccato un minimo, e che il collasso del contango sul Brent indichi un aumento della domanda a breve di petrolio, mentre i produttori hanno intensificato ulteriormente le coperture.
Il crollo del contango, soprattutto sul Brent, attirerà nuovi investitori, rendendo meno doloroso detenere posizioni lunghe.
Il rovescio della medaglia sarebbe un maggior rischio di aumento di offerta, di fronte a compagnie petrolifere e trader che smetterebbero di accumulare scorte.
Fino ad ora, infatti, sono stati accumulati milioni di barili di petrolio, onshore e offshore, da parte di produttori e trader. Il contango, che riflette lo sconto del prezzo a pronti su quello a termine, è anche un indicatore dell’eccesso di offerta presente sul mercato. Ha premiato notevolmente chi ha potuto acquistare greggio a pronti, per poi rivenderlo dopo un determinato periodo di tempo sul mercato dei futures ad un prezzo superiore.
Questa operazione può essere ripetuta finché il contango risulti abbastanza ampio da coprire i costi di stoccaggio e di assicurazione: ad oggi ormai impossibile.
Non è solo il contango ad attirare gli investitori verso il greggio: anche la relazione settimanale sulle scorte della US Energy Information Administration ha dato una dose di notizie rassicuranti, riportando un calo inatteso delle scorte dovuto a:
- una forte riduzione delle importazioni
- un aumento della domanda delle raffinerie
- un calo della produzione per la decima volta in 11 settimane.
Le scorte USA sono l’unico aggiornamento disponibile sul mercato riguardo l’andamento di domanda e offerta. Le forti reazioni che hanno generato nelle ultime tre settimane, le prime due negative seguite da una positiva, evidenziano chiaramente l’importanza di questi aggiornamenti settimanali in un settore dove non è semplice ottenere dati tempestivi.
Dopo diversi giorni di perdite, il Brent ha trovato supporto sulla sua media mobile a 100 giorni di 37,30$, spinto nuovamente a 40$ dai dati sulle scorte USA. Gli investitori stanno chiaramente inseguendo il mercato, e il collasso del contango ha fornito ulteriore supporto.
I mercati globali mantengono segnali di ipervenduto, lasciando il dubbio agli investitori che si tratti di “troppo e troppo presto”.
Questa settimana, insieme alla relazione settimanale sulle scorte, il mercato si concentrerà sulla riunione di Doha di domenica. Non è da escludere un ritorno sui recenti massimi ma, come abbiamo ricordato nelle nostre previsioni per il prossimo trimestre, ci aspettiamo che il prezzo resti all’interno del range previsto per il Q1, tra 35-40 $/b, ma senza un rischio al ribasso.
Oro e argento guadagnano dal focus sui tassi negativi
Dopo l’impennata di gennaio, l’oro presenta da due mesi un andamento laterale, mentre il mercato si è chiesto se sia arrivato il momento di incassare profitti in seguito al forte aumento della domanda osservato dall’inizio dell’anno.
Preoccupazione non indifferente di fronte al ricordo ancora vivo dello scorso aprile, che ha visto un’improvvisa inversione dell’oro dopo la forte salita di inizio 2016. Le svendite, infatti, continuarono per tutto il resto dell’anno, segnando un’altra delle false partenze osservate dal picco del 2011.
Una delle principali ragioni per credere che questa volta sia differente è stata individuata dall’ultimo report del World Gold Council nel panorama di tassi d’interesse negativi, che tra Europa e Giappone ha visto migliaia di miliardi di debito sovrano scendere ormai a rendimenti sotto lo zero.
Secondo il WGC: “La storia dimostra che, in uno scenario di tassi bassi, i rendimenti dell’oro tendono a raddoppiare la propria media di lungo termine”.
Tra gli investimenti alternativi ai titoli con rendimenti negativi, si fanno sempre più spazio i metalli preziosi. Il WGC ha evidenziato quattro fondamentali ragioni per cui i tassi di interesse negativi dovrebbero stimolare la domanda di oro come asset da inserire in portafoglio:
- Riducono il costo-opportunità di detenere oro;
- Limitano il pool di asset in cui alcuni investitori e gestori investono;
- Erodono la fiducia nella moneta legale, a causa dei timori di guerre valutarie e di interventi di politica monetaria;
- Aumentano ulteriormente l’incertezza e la volatilità sul mercato, mentre le banche centrali restano a corto di opzioni efficaci per combattere inflazione e deflazione e per stimolare la crescita.
Una volta trovato più volte supporto al di sotto di 1210 $/oz, l’oro ha nuovamente tentato un rialzo, aiutato anche dalle minutes del FOMC che hanno ulteriormente evidenziato la cautela della Fed nei futuri rialzi dei tassi.
Questa settimana, con l’apertura negli USA della prima stagione di trimestrali, il mercato si sta preparando ad affrontare la peggiore ondata di risultati dalla crisi del 2009.
Nelle nostre previsioni per il Q2 pubblicate la scorsa settimana, abbiamo evidenziato il potenziale di rialzo per l’oro in seguito ad un periodo di consolidamento. Un dollaro più debole, i rischi di un aumento della volatilità sui mercati azionari, e il panorama di tassi di interesse negativi, potrebbero attirare nuovo interesse nei confronti di oro e argento anche prima del previsto.
Nel breve termine vediamo due importanti livelli di resistenza: 1245 $/oz (contemporaneamente recente massimo e ritracciamento del 50% del calo di marzo) e il più importante 1255 $/oz (ritracciamento del 61,8%: in caso di rottura segnalerebbe un ritorno sui massimi, se non oltre).
L’area chiave di supporto rimane nel range 1165-1195 $/oz.