Ogni anno non vedo l’ora di partecipare al convegno annuale del Fondo Monetario Internazionale, insieme agli altri colleghi che formano la delegazione di Neuberger Berman, tra cui figurano normalmente il nostro Amministratore Delegato, George Walker, e i membri del team Emerging Markets Debt. È un’ottima occasione per apprendere molte cose sia ascoltando i nostri clienti e altre controparti nel corso di brevi incontri, sia partecipando alle sessioni generali che costituiscono il programma ufficiale.
L’ottimismo nei confronti dell’economia, espresso da clienti e altre controparti, ha trasmesso un senso di continuità. Tale fiducia è inoltre la base su cui poggia il notevole cambiamento nell’agenda dei policymaker, come emerso durante le sessioni ufficiali del convegno.
Fiducia
Dopo l’incontro del 2016, avevamo notato che la maggior parte dei governatori delle banche centrali partecipanti all’evento, in particolare quelli dell’universo emergente, nutrivano “prospettive generalmente ottimiste”. Rispetto all’incontro del 2015, ha rappresentato un cambiamento radicale che si verificava solo pochi mesi dopo il minimo (46,5) toccato dagli indici PMI delle economie emergenti nel giugno 2016. Da allora, quelle economie sono passate in territorio positivo e il cauto ottimismo espresso l’anno scorso si è tradotto quest’anno in un rafforzamento diffuso della fiducia nella sostenibilità di una crescita globale sincronizzata.
L’anno scorso, uno dei temi principali era stato il diffuso senso di frustrazione nei confronti delle politiche sui tassi di interesse (pari a zero o quasi zero), adottate dalle principali banche centrali mondiali. Quella frustrazione è oggi perlopiù assente, non perché i tassi di riferimento abbiano subito chissà quali variazioni, ma perché il percorso che porterà a un rialzo è ora molto più chiaro.
Tale fiducia è stata rispecchiata dal cambiamento di agenda per il convegno. Mentre negli anni scorsi, l’attenzione era focalizzata sulla stabilità finanziaria e monetaria e sugli interventi volti a prevenire una recessione globale dopo la crisi finanziaria, quest’anno l’obiettivo sono i problemi strutturali messi a nudo da quella crisi. Persino durante il convegno del 2016 – tenuto dopo la crisi migratoria in Europa del 2015, il voto sulla Brexit e la turbolenta campagna elettorale per l’elezione del presidente degli Stati Uniti – solamente sei sessioni avevano trattato la sfiducia nelle élite di governo e le sfide della globalizzazione e solamente una si era occupata dell’immigrazione.
Nel 2017, lo spazio dedicato a queste problematiche è raddoppiato.
Quando vengono eletti politici con idee non convenzionali sull’approccio da utilizzare per risolvere simili problemi, le menti dei tecnocrati si accendono. Ma la rinnovata fiducia nell’economia è anche il raggio di sole che serve ai tecnocrati per iniziare a riparare il tetto, un lavoro che richiede di abbandonare gradualmente gli strumenti di emergenza delle banche centrali e passare agli strumenti strutturali di governo.
Adattamento alla globalizzazione e al cambiamento tecnologico
Quella modifica dell’agenda rappresenta un implicito riconoscimento del fatto che punti interrogativi su governo, globalizzazione e immigrazione non possono essere risolti con qualche trimestre di buona crescita. L’immigrazione è un argomento esplosivo quando le diseguaglianze si fanno più marcate e la crescita può aggravare le disuguaglianze quando i guadagni da il capitale (incluso il capitale umano e quello educativo) impoveriscono quelli della forza lavoro.
Si tratta di una prospettiva probabile fintanto che persisteranno le tendenze in atto nella globalizzazione e nel cambiamento tecnologico. Il settore manifatturiero, ad esempio, sta ritornando in auge nel mondo sviluppato, ma lo sta facendo presentandosi in modo alquanto diverso dal settore manifatturiero che venne esternalizzato in Asia trent’anni fa. Oggi non si costruisce un’acciaieria in Pennsylvania per riempirla con 5.000 operai siderurgici: la si mette nella Sud Carolina e si manda avanti con cinque ingegneri.
Ciò spiega il cambiamento più evidente intervenuto quest’anno nell’agenda della Banca Mondiale/del FMI: le diverse sessioni su “Il futuro del lavoro”, “Il futuro del manifatturiero” e altri aspetti delle rivoluzionarie tecnologie che hanno creato la “nuova economia”, dalla robotica all’intelligenza artificiale, dai veicoli a guida autonoma alla guerra cibernetica. Non a caso, istruzione e formazione hanno guadagnato posizioni nella classifica delle priorità (“Il ruolo dell’istruzione STIM – Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica – nella preparazione dei futuri talenti globali”, “Promossi e bocciati: quali paesi stanno facendo i compiti per quanto riguarda l’istruzione?”).
Il fatto che l’agenda della Banca Mondiale e del FMI si stia orientando in questa direzione serve a ricordarci che tali problematiche sono globali e non si limitano al mondo sviluppato.
Ulteriori opportunità
Il crescente entusiasmo per i mercati emergenti è stato riflesso da un altro cambiamento dell’agenda: il considerevole aumento delle sessioni dedicate ai mercati di frontiera. Kaan Nazli, il nostro Senior Emerging Markets Economist, ha fatto notare che l’anno scorso gli eventi sponsorizzati erano stati tre e che quest’anno sono stati sette. Kaan ricorda di essere stato, un anno fa, l’unico partecipante a una sessione dedicata a un unico paese, la Nigeria. Quest’anno i partecipanti sono stati più di una dozzina, senza contare lui.
Un anno fa dichiarammo che i tassi reali dell’universo emergente avrebbero continuato ad attirare i flussi di capitale e così è stato. Avevamo espresso fiducia nei mercati emergenti che hanno poi registrato robusti rendimenti negli ultimi 12 mesi. Nel periodo, il tasso reale medio è passato dal 3% al 2%, ma rimane sufficientemente interessante per attirare afflussi di capitale, poiché nel mondo sviluppato prevalgono tassi di interesse negativi. Di conseguenza, sebbene il nostro entusiasmo sia stato leggermente ridotto, ci manteniamo ottimisti nei confronti dei mercati emergenti.
Sebbene la fiducia evidenziata dai flussi di capitale sia necessaria, non è tuttavia sufficiente per gettare le basi strutturali per una crescita sostenibile. Una base solida richiede politiche fiscali, commerciali e migratorie favorevoli alla crescita. Soprattutto, richiede politiche per l’istruzione e la formazione che generino una forza lavoro idonea per la nuova economia, piuttosto che per l’“officina del mondo” che erano i mercati emergenti vent’anni fa. Il più grande boom della robotizzazione non è in atto nell’attempata forza lavoro giapponese o nella costosa forza lavoro statunitense, ma in Cina.
Il raggio di sole della crescita ci consente non solo di riparare il tetto delle nostre economie, ma anche di rafforzare le fondamenta della casa attraverso riforme strutturali. Sapranno le élite dei nostri governi cogliere l’occasione oppure permetteranno alle promesse, spesso vane, dei populisti di dominare il dibattito?