Non permettete ai rumori della guerra commerciale di distogliere la vostra attenzione dai segnali inviati dai tassi e dall’inflazione.
Due giorni dopo l’insediamento di Trump come presidente degli Stati Uniti, scrissi un articolo in cui consigliavo di filtrare il rapporto segnale/rumore, sottolineando l’importanza di assumere una prospettiva di lungo termine, tenere conto del contesto storico, focalizzarsi su dati di fatto reali e non allontanarsene mai durante il processo decisionale.
“Di tutti gli obiettivi del programma della nuova amministrazione”, scrissi all’epoca, “nessuno può avere maggior impatto sui mercati e sulla valutazione dei singoli titoli azionari e obbligazionari della riforma fiscale”.
Nonostante l’anno scorso il rumore avesse raggiunto livelli di tutto rispetto, le priorità dell’amministrazione – vale a dire la riduzione della regolamentazione e delle imposte sulle imprese – rappresentavano priorità storiche del Partito Repubblicano, risalenti ai tempi di Ronald Reagan. Le priorità di quest’anno – ridurre i flussi migratori e intervenire sugli scambi commerciali – non costituiscono affatto temi principali in campo repubblicano. Intralciano le linee di partito, sollevano controversie a livello nazionale e internazionale e neutralizzano le strategie storiche. Al diavolo.
Le questioni commerciali conquisteranno le prime pagine: abituatevi
Da un punto di vista politico, le questioni commerciali sono molto più complesse delle imposte e, senza dubbio, molto più difficili da capire. Un ulteriore ostacolo per i mercati è rappresentato dall’assenza di esperienze recenti cui fare riferimento. Personalmente seguo i mercati da 36 anni e posso dire che le vicende commerciali sono raramente assurte agli onori della cronaca. L’Accordo del Plaza del 1985, la creazione dell’Organizzazione mondiale del commercio nel 1995 e l’ammissione della Cina nell’OMC nel 2001 sono le poche occasioni che mi restano impresse nella memoria.
È solo il rumore delle vicende recenti che ci ha riportato alla mente gli effimeri dazi sull’acciaio deliberati dall’amministrazione Bush nel 2002, che diversamente sarebbero rimasti nel dimenticatoio. Nondimeno, la grande lezione è nota a tutti. Nello spirito dei tempi, ho suggerito alla mia famiglia di ribattezzare i nostri labrador Smoot e Hawley, in ricordo del senatore e del rappresentante statunitensi che promossero il deleterio Tariff Act del 1930. Non accadrà.
Quando la settimana scorsa Joe Amato ha affrontato questo argomento, ha fatto notare che l’acceso scambio di “dichiarazioni commerciali” avrebbe continuato a dominare, in modo anomalo, le prime pagine per tutto il 2018. Ciò significa forse che sarà questo il principale elemento a determinare la direzione dei mercati?
Nel breve termine, pare improbabile. Stiamo parlando di scambi di merci, tra i due paesi, del valore di USD 50-60 Mld. Si tratta di un decimo circa del volume complessivo annuale e di una goccia nell’oceano del PIL statunitense (USD 19.000 Mld) o del volume mondiale degli scambi di beni manifatturieri (USD 16.000 Mld). Sarebbe bello credere che la lezione degli anni Trenta abbia insegnato a negoziare una soluzione prima che un’escalation della situazione comprometta la fiducia della classe dirigente responsabile di decidere assunzioni e investimenti. Per costoro, infatti, una riforma fiscale negli Stati Uniti riveste un’importanza molto maggiore dei dazi sulla carne di maiale o sull’acciaio.
I segnali dietro al rumore
Tuttavia è fin troppo facile iniziare a filtrare i segnali veri, proprio perché sono così importanti o perché crediamo di capirli già. Il mio consiglio è di tenere a mente non solo il fatto che la Fed ha già imboccato il percorso di una stretta monetaria e che con ogni probabilità prima della fine dell’anno la BCE ne seguirà le orme, ma anche il fatto che dopo anni di politiche di tassi zero questi sono eventi epocali.
È possibile che i rischi in ambito commerciale possano creare un clima di incertezza sufficiente a rallentare la graduale stretta monetaria? I membri del FOMC accennano a una simile possibilità, ma ritengono anche che ad alimentare le aspettative di inflazione vi siano forze molto più potenti, come gli imminenti incentivi fiscali e l’aumento dei salari.
Ma allora, lo scambio di dichiarazioni commerciali ha forse generato nei mercati turbolenze di breve termine esagerate? Al momento è forse troppo presto per dirlo. Il punto di vista dei mercati sull’approccio di questa amministrazione ai negoziati commerciali è riassunto al meglio dalle parole di Topper Harley, l’eroe della commedia cult Hot Shots!: “Non sto dicendo che non mi fido di te e non sto dicendo che mi fido. Ma non mi fido”.
La fiducia dovrà essere costruita nel tempo. Non si manifesterà a breve. Nel frattempo, abituatevi a sentire un bel po’ di rumore. E cercate di restare concentrati sui segnali più importanti: quelli inviati dalla Fed e dalla BCE.