È evidente che il rischio di recessione è cresciuto in tutto il mondo dopo la pandemia di COVID e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, soprattutto a causa del fatto che le banche centrali sono costrette ad aumentare i tassi di interesse per cercare di contenere la spirale inflazionistica.
Mentre gli investitori si stanno comprensibilmente chiedendo quando potrebbe aver luogo la prossima contrazione economica, la storia ci insegna che le recessioni sono notoriamente difficili da prevedere con precisione e che anche la loro durata è oggetto di dibattito.
Innanzitutto, va detto che le recessioni sono una fase naturale e necessaria di ogni ciclo economico. Si verificano per svariati motivi, ma in genere sono il risultato di squilibri che si accumulano nell’economia e che devono essere corretti prima che inizi la successiva espansione.
Pur essendo dolorose, le recessioni sono incidenti di percorso relativamente brevi nella storia dell’economia e spesso i rendimenti azionari restano positivi per l’intera durata della contrazione, mentre alcuni dei rally più decisi si sono verificati durante le fasi finali di una recessione. In genere le azioni toccano il picco circa sette mesi prima dell’inizio di una recessione, ma possono recuperare rapidamente. Gli interventi aggressivi sulla liquidità o altri asset, dunque, potrebbero essere controproducenti e, in alcuni casi, potrebbe essere meglio rimanere investiti per non rischiare di lasciarsi sfuggire il rialzo successivo.
Anche se è difficile prevedere con precisione una recessione, ci sono alcuni segnali economici generalmente affidabili che vale la pena osservare con attenzione quando le economie si avvicinano alle fasi finali di un ciclo economico. Alcuni parametri standard, come l’aumento della disoccupazione e il calo della fiducia dei consumatori, cui si aggiunge l’andamento del settore edilizio, indicano che potrebbe verificarsi un rallentamento. Tuttavia, la cosiddetta curva dei rendimenti a 2-10 anni negli Stati Uniti si è dimostrata un indicatore più interessante e tradizionalmente più preciso.
Quando questa relazione si inverte (creando quella che viene definita una curva dei rendimenti invertita, in cui i rendimenti a due anni sono più alti di quelli a 10 anni), in genere nei 12-18 mesi successivi (14,5 mesi in media) si verifica un periodo di recessione.
Nei mesi recenti abbiamo assistito a una breve inversione della curva a 2 e 10 anni ad aprile e a giugno, per poi toccare nuovi minimi a luglio, rimanendo in seguito invertita a lungo. Non ci sorprenderebbe se lo scenario restasse questo, dal momento che la Fed continua ad aumentare i tassi e le prospettive economiche continuano a peggiorare.
Anche se in alcune parti del mondo i segnali del rallentamento economico sono già evidenti, secondo noi è improbabile che entreremo in recessione prima della fine del 2022 o dell’inizio del 2023. Negli Stati Uniti, l’inflazione elevata ha avuto un forte impatto sul sentiment dei consumatori e sugli utili aziendali, ma un solido mercato del lavoro continua a supportare l’economia nel breve termine. Naturalmente le condizioni sono diverse nelle varie parti del mondo: il Regno Unito sta lottando contro la crisi del costo della vita, mentre l’Europa è molto più esposta al rischio di approvvigionamento energetico a causa della sua dipendenza dal petrolio russo.
Probabilmente il momento esatto in cui si avrà una recessione dipenderà dalla rapidità e dall’entità degli interventi delle banche centrali volti a riportare l’inflazione ai livelli target. Secondo noi, l’unico modo per interrompere l’escalation dei prezzi e dei salari, soprattutto negli Stati Uniti, è quello di rallentare il mercato del lavoro (il divario tra il volume di lavoro auspicato dai lavoratori e quello effettivamente disponibile). Tuttavia, a causa della crisi dovuta alla pandemia è possibile che la disoccupazione salirà al 5% o al 6%, prima che la crescita dei salari inizi a stabilizzarsi. Riteniamo che tutto ciò renda molto difficile evitare una recessione entro il 2023.
Investire ai tempi della recessione
Spesso è poco saggio cercare di anticipare le tempistiche del mercato, soprattutto nei periodi di volatilità. Tuttavia, questo non significa che gli investitori debbano restare a guardare. Anche se gli obiettivi variano da persona a persona, come prima cosa gli investitori con partecipazioni azionarie e obbligazionarie potrebbero cogliere l’occasione per rivedere la loro asset allocation complessiva, che potrebbe essere cambiata in modo significativo durante i recenti periodi di forti rendimenti azionari, e valutare se il loro portafoglio sia ancora ampiamente diversificato.
Poiché ci attendono con tutta probabilità tempi peggiori, forse gli investitori farebbero bene a prendere in considerazione società con bilanci solidi, flussi di cassa costanti e prospettive di crescita di più lungo termine come un possibile modo per contrastare le fluttuazioni di mercato nel breve periodo.
Inoltre, le obbligazioni posso talvolta dimostrarsi fondamentali per investimenti di successo nelle fasi di recessione o in quelle ribassiste, offrendo un potenziale contributo alla necessaria stabilità e alla conservazione del capitale. L’ondata di vendite del mercato nel primo semestre 2022 è stata insolita, poiché le obbligazioni non hanno svolto il loro ruolo di bene rifugio: sulla scia della crescita dell’inflazione e dei tassi di interesse, i mercati obbligazionari hanno perso terreno insieme a quelli azionari e i vantaggi della diversificazione sono venuti meno.
Gli investitori non devono necessariamente aumentare la loro esposizione obbligazionaria in previsione di una recessione, ma è opportuno che valutino se il loro mix di asset allocation copra le quattro funzioni generalmente svolte dalle obbligazioni: diversificazione rispetto alle azioni, generazione di reddito, conservazione del capitale e protezione dall’inflazione.