Cosa significa per i mercati e le economie globali lo spostamento verso una politica più nazionalista nelle recenti elezioni parlamentari europee? Accelera o smorza i cambiamenti già visti dal 2016, un anno significativo dal punto di vista geopolitico, quando il Regno Unito ha votato per lasciare l’Unione europea (UE) e Donald Trump ha vinto la sua prima elezione negli Stati Uniti? Questi eventi e quelli successivi, come il Covid e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, hanno messo alla prova l’ordine economico mondiale.
Rischi economici e di mercato della “fantapolitica fiscale”
Queste nuove correnti politiche nazionalistiche potrebbero portare a un’inclinazione più populista dei piani fiscali, che di solito significa più spesa, tagli alle tasse e una politica fiscale più accomodante. Tutto ciò dovrebbe essere abbastanza positivo per le economie e i mercati azionari, a patto che non perdano la fiducia del mercato obbligazionario e che quest’ultimo continui ad essere ragionevolmente ben gestito.
Quando invece questi piani perdono la fiducia del mercato obbligazionario, il rischio è di ritrovarsi in una fase di improvviso ritorno dell’austerità, con conseguenze negative per le economie coinvolte. Si tratta di un gioco di equilibri molto complesso. L’Italia, ad esempio, sembra aver trovato il modo corretto di gestire il mercato obbligazionario.
In ogni caso, quando si guarda al risultato delle elezioni europee, l’aspetto fondamentale è capire le potenziali implicazioni di lungo termine. In ultima analisi, i rendimenti degli asset dipendono da una serie di trend: demografia, innovazione tecnologica, investimenti, intelligenza artificiale, cambiamento climatico.
Quindi le elezioni spesso non hanno un impatto importante sui rendimenti a lungo termine, ma possono portare a fasi di volatilità sul breve periodo.
Una nuova direzione per le politiche verdi in Europa?
Una delle possibili conseguenze del risultato elettorale in Europa è una minore spinta sul fronte delle politiche green. Ciò avrà importanti implicazioni sui potenziali rendimenti a lungo termine. Se non sarà l’Europa a guidare l’agenda sul clima, chi lo farà? Presumibilmente la Cina, che ha fatto molto di più di quanto si creda. Ma se avremo un rallentamento nella gestione del cambiamento climatico, le implicazioni saranno negative per i rendimenti a lungo termine e per alcune aziende. Ci saranno vincitori e vinti in un modo che non abbiamo visto negli ultimi 15 anni, quando invece la correlazione è stata molto alta tra i vari settori.
Uno dei grandi errori commessi dall’Europa nell’ultimo decennio è stato quello di concentrarsi troppo sul carbon pricing e sulla tassazione, volta a indurre l’abbandono dei combustibili fossili per favorire l’energia verde. Una cosa che abbiamo imparato con l’introduzione dell’Inflation Reduction Act (IRA) negli Stati Uniti è che i sussidi sono più popolari delle tasse e hanno la stessa funzione: colmano il divario tra il costo delle energie rinnovabili e quello dei combustibili fossili. Il Carbon Border Adjustment Mechanism dell’UE è una potenziale soluzione, soprattutto se si riuscirà a trovare un accordo multilaterale. È incoraggiante che anche il Regno Unito, il Canada e gli Stati Uniti stiano studiando schemi simili.
Investire con il cambio di regime economico
Dal 2010 al 2020 abbiamo vissuto uno straordinario periodo di bassa inflazione, in cui le banche centrali hanno potuto correre in soccorso e tagliare i tassi d’interesse ogni volta che c’era un problema. La conseguente correlazione negativa tra titoli azionari e obbligazionari ha agito da freno alla volatilità. Il deterioramento del trade-off crescita-inflazione a seguito del “3D Reset” (il cambio di paradigma legato a Decarbonizzazione, Deglobalizzazione e Demografia) significa che le banche centrali saranno probabilmente più vincolate in futuro. Gli investitori non potranno contare sulla diversificazione tra azioni e obbligazioni per gestire la volatilità.
Ci sarà anche una divergenza tra le società. Ci saranno aziende che sposteranno la produzione dalla Cina ad altri paesi e gestiranno bene questo cambiamento. Ci saranno però anche aziende che si troveranno in difficoltà.
Per alcune imprese ha senso non produrre più tutto in Cina, spostando magari la produzione in India. Stiamo assistendo a molti cambiamenti nelle catene di approvvigionamento, e questo significa inevitabilmente che ci saranno delle opportunità davvero interessanti. Naturalmente emergeranno anche degli sconfitti e quindi la gestione attiva sarà ancora più importante in questa fase.