- Nel primo trimestre l’economia degli Stati Uniti ha segnato un +3,2% su base annuale, ma la dinamica dei prezzi è rimasta stabile su un livello nettamente inferiore al 2%. Uno scenario di questo tipo è sicuramente favorevole per i mercati finanziari e per l’economia reale. Ma può anche essere il risultato di un contesto economico afflitto da tendenze recessive.
- Moneyfarm ha diminuito il rischio dei portafogli, permettendo di navigare i prossimi mesi con maggiore sicurezza.
Nel primo trimestre l’economia degli Stati Uniti ha battuto ancora le aspettative, facendo registrare un tasso di crescita anno su anno superiore al 3,2%. Il risultato ha in parte alleviato le preoccupazioni derivanti dai chiari segnali di rallentamento che aveva mostrato a partire dal secondo trimestre del 2018.
La dinamica dei prezzi, tuttavia, non ha seguito la direzione della crescita economica, restando stabile da mesi su un livello nettamente inferiore al 2%, il target d’inflazione dalla Federal Reserve. Questo dato è di vitale importanza per i mercati finanziari. La politica monetaria, che ha come obiettivo principale il controllo dell’inflazione, è probabilmente in questo momento il fattore con il maggiore potenziale per condizionare l’andamento dei mercati.
In questo senso, il particolare equilibrio che si è venuto a creare sembra essere piuttosto rassicurante. Uno scenario dove la crescita economica è costante, l’inflazione moderata e positiva e i salari in aumento è sicuramente favorevole, sia per quanto riguarda i mercati finanziari, sia per quanto riguarda l’economia reale.
Il mistero dell’inflazione
La dinamica dei prezzi è stata uno degli argomenti di maggior interesse degli ultimi due anni. L’inflazione in questo periodo non è stata particolarmente vivace, tanto che molti si sono domandati perché a fronte di politiche monetarie espansive il livello dei prezzi faticasse ad accelerare. Il dibattito per certi versi ricalca quello che si sviluppò tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio degli anni 2000, quando furono pubblicati numerosi studi che notavano come a partire dalla metà degli anni ‘80 si fosse verificata una graduale riduzione della volatilità di una serie di indici economico-finanziari, come la crescita del Pil e appunto l’inflazione. Il periodo fu definito “Grande Moderazione”.
Minore volatilità significa minore discontinuità e quindi più stabilità, e la stabilità degli indici economici è generalmente considerata come qualcosa di positivo per l’economia. Un ciclo economico più prevedibile si dovrebbe tradurre in un contesto migliore per imprese e famiglie, favorendo innovazione e investimenti.
La Grande Moderazione è infatti associabile a un periodo di grande ottimismo per l’elaborazione del pensiero economico (e non solo). Il successo di questa definizione si spiega all’interno di questo orizzonte.
Anche il Governatore della Fed dell’epoca, Ben Bernanke, in un solenne discorso del 2004, adottò l’etichetta riuscendo con una certa efficacia a definire il dibattito pubblico e accademico. Il banchiere centrale attribuì buona parte del merito alla propria categoria sostenendo che, a partire dagli anni ‘80, la politica monetaria avesse cominciato a operare secondo degli assunti più realistici che in passato, senza più sopravvalutare il proprio ruolo nel creare l’inflazione e la propria capacità di controllare la disoccupazione.
La crisi del 2008 arrivò come un colpo inatteso che servì a risvegliare le coscienze di tutti coloro che erano stati abbagliati dal cambio di direzione della storia, non riuscendo a percepirne il movimento. Il tema della Grande Moderazione uscì per qualche anno dai radar. Sembrò così che avessero ragione coloro che credevano che fosse stata semplicemente frutto del caso.
Viviamo ancora nella Grande Moderazione?
Negli ultimi otto anni, sia negli Stati Uniti sia in Europa, l’inflazione si è mossa costantemente sotto il livello target delle banche centrali, intorno al 2%, nonostante siano state messe in atto politiche monetarie espansive senza precedenti, a fronte di risultati economici positivi e costanti. Con i salari reali che finalmente cominciano a crescere, è lecito chiedersi se ci troviamo ancora in un contesto di Grande Moderazione.
Si possono fare varie considerazioni a riguardo:
- Si potrebbe argomentare che, pur con una dinamica dei prezzi simile, la moderazione dell’inflazione sia causata da cause strutturali diverse rispetto agli anni ’80-‘90. All’epoca, l’inflazione moderata e poco volatile era considerata il sintomo di un’economia in salute, ma una dinamica di inflazione di questo tipo può essere anche il risultato di un contesto economico afflitto da tendenze recessive. I fattori strutturali che spingono alla deflazione dopotutto non mancano. C’è la crescita del tasso di partecipazione alla forza lavoro (per via di pensionamenti più ritardati e, in misura minore, dell’immigrazione); c’è la pressione della globalizzazione che erode il potere contrattuale dei lavoratori e abbassa i costi di produzione; c’è lo sviluppo tecnologico, che aumenta la produttività ma diminuisce l’importanza relativa della componente umana nei processi di produzione. Ci sono poi le riforme del mercato del lavoro in occidente, che hanno ridotto il potere contrattuale dei lavoratori.
- Molto si è ragionato inoltre sulle implicazioni della crisi del 2008 e della Grande Recessione. Ovviamente una recessione così severa ha l’effetto di aumentare la volatilità degli output in modo sostanziale, tanto che c’è da chiedersi se essa sia compatibile con un contesto di moderazione. Studi comparati sulla volatilità hanno dimostrato che la variabilità della dinamica dei prezzi e del Pil, soprattutto negli anni che sono seguiti alla crisi del 2008, sarebbe stata comunque inferiore a quella di altre recessioni meno severe del periodo pre-Grande Moderazione. Ciò rende compatibile la recessione del 2008 con un contesto di Grande Moderazione e ci ricorda che anche in tale contesto non è affatto scongiurata la possibilità di recessioni, anche severe. In quest’ottica sembrerebbe confermata l’idea di coloro che vedono la Grande Moderazione come una tendenza secolare (Gadea e altri, 2015).
- Seguendo questa linea argomentativa è interessante notare come un contesto di moderata volatilità economica potrebbe addirittura favorire la presa di rischio sui mercati finanziari e l’indebitamento da parte di privati e aziende, contribuendo all’instabilità dei mercati finanziari.
Prospettiva di medio termine sui portafogli
Ovviamente comprendere la dinamica dell’inflazione, nel breve e nel lungo periodo, è fondamentale per orientare le scelte di gestione del portafoglio. Questo è vero specialmente per quanto riguarda l’inflazione degli Stati Uniti perché la dinamica dei prezzi USA influenza direttamente le mosse della Federal ReserveFederal Reserve.
Un’inflazione stabilmente lontana dal target del 2% rassicura i mercati sul fatto che la Banca Centrale non interverrà per drenare liquidità dell’economia, almeno nel medio termine. Ciò riduce sostanzialmente il livello di imprevedibilità e di rischio associato alla politica monetaria.
D’altronde, l’allontanarsi di prospettive di recessione fornisce un ulteriore spunto di stabilità. Nonostante ciò, permangono degli elementi di incertezza (si pensi alle tensioni commerciali) e, nonostante un primo trimestre molto forte, continuiamo a vedere le prospettive della crescita globale come problematiche.
I fondamentali azionari non sono in una pessima posizione, ma le valutazioni azionarie sono salite in seguito al rally degli ultimi tre mesi.
Quindi, sebbene il contesto sembri più stabile, restiamo soddisfatti della scelta e delle tempistiche con cui Moneyfarm ha diminuito il rischio dei portafogli, permettendo di navigare i prossimi mesi con maggiore sicurezza.