I titoli di stato francesi hanno subìto forti oscillazioni questo mese per via dei timori suscitati dall’annuncio a sorpresa delle elezioni anticipate che potrebbero mettere i partiti estremisti in condizione di promuovere tagli di tasse e riforme pensionistiche di ampio respiro. La settimana scorsa il ministro delle finanze, Bruno LaMaire, ha lanciato l’allarme sulla possibilità di uno “scenario alla Liz Truss” per il debito pubblico del Paese se Marine LePen dovesse vincere e realizzare il suo programma economico.
Ad essere penalizzata sarà la qualità del credito in Francia, alla luce di una situazione finanziaria già tesa, caratterizzata da un debito pubblico e da un deficit che l’anno scorso erano pari rispettivamente al 110% e al 5,5% del PIL. È recente la notizia che il rating del debito a lungo termine del Paese è stato degradato dall’agenzia di rating S&P, sulla scorta di un deficit maggiore del previsto e dei rischi di frammentazione politica. Alla notizia delle elezioni anticipate, in previsione del caos che poi si è effettivamente verificato, abbiamo prontamente provveduto a vendere il debito pubblico francese allo scoperto perché, a nostro avviso, le elezioni (e i sondaggi) acuiranno le preoccupazioni sulle finanze del Paese. Lo spread fra i titoli decennali tedeschi e francesi si è allargato di circa 30 punti base dalla decisione delle elezioni anticipate ed è ora pari a più o meno 70 punti base con la possibilità, a seconda di come andranno le elezioni, di ampliarsi a 100 punti base, un livello che non si vedeva dai tempi della crisi dei debiti sovrani dell’eurozona. Ma veramente il debito francese rischia un tracollo simile a quello dei Gilt britannici nel corso del mandato di Liz Truss? Non credo, ecco perché.
Niente timori sui fondi pensione
In primo luogo, la Francia, diversamente dal Regno Unito, non ha un indebitamento a lungo termine abbinato a investimenti relativamente rischiosi per generare una remunerazione adeguata. Infatti, a creare il problema nel Regno Unito sono stati i fondi pensione locali che hanno effettuato investimenti con marginazione per realizzare rendimenti sufficienti a coprire i futuri benefici da corrispondere ai loro iscritti. Breve premessa: dopo anni di bassi tassi di interesse, molti fondi pensione che generalmente avevano un portafoglio composto in misura rilevante da titoli di stato a lungo termine e da altri strumenti indicizzati si sono trovati nella condizione di dover generare rendimenti più elevati. A tal fine, questi fondi hanno adottato un modello che prevedeva la copertura del rischio di tasso sulle obbligazioni future mediante strumenti complessi, quindi senza senza l’abbinamento di attivi di pari scadenza, come i total return swap. Il risultato è stato il rilascio di un’enorme disponibilità di liquidità prontamente impiegata in investimenti più remunerativi ma meno liquidi in un processo denominato liability-driven investing (LDI). Ora, finché c’era il QE che garantiva bassi tassi di interesse tutto andava per il meglio ma, una volta che la Banca d’Inghilterra ha cominciato ad aumentare i tassi di interesse, le cose hanno preso una piega diversa. Poi è arrivato il c.d. mini-budget di Truss e Kwarteng. Il mercato non ha gradito i tagli senza coperture finanziarie previsti dal bilancio. Di conseguenza, con la salita dei rendimenti sono immediatamente aumentate le richieste di integrazione delle garanzie, c.d. margin call, ai gestori dei fondi pensione che avevano adottato il metodo LDI. Impossibilitati a liquidare altri investimenti per soddisfare tali richieste, i gestori si sono visti costretti a vendere i Gilt e gli strumenti indicizzati, oltre che a smontare le coperture degli swap in un mercato altamente illiquido. Gli hedge fund e gli altri operatori di mercato, dal canto loro, hanno esasperato le condizioni vendendo anche loro obbligazioni a più lunga scadenza, azionando un circolo vizioso. Truss ha di fatto risvegliato una vulnerabilità dormiente nel mercato britannico. Personalmente, non credo che esista una simile vulnerabilità nel mercato dei titoli di stato francesi. Per finire, ritengo che parte della responsabilità ricada sul Comitato di Politica Monetaria che, pur non avendo conoscenza della portata eccessiva dei piani di spesa, non poteva certo ignorare che Truss volesse stimolare l’economia mediante un aumento della spesa. L’inflazione intanto era in fase di accelerazione e nella settimana prima dell’annuncio della manovra finanziaria il Comitato si era mostrato restio ad un inasprimento, in netto contrasto con le altre banche centrali che nel frattempo aumentavano i tassi di interesse, confortando sostanzialmente l’impressione del mercato che la Banca d’Inghilterra non era allineata alle sue controparti.
Nessuna garanzia sui prezzi dell’energia
Oltre ai tagli fiscali, Truss in effetti si faceva carico dei costi energetici in un momento in cui i relativi prezzi salivano in maniera incontrollata. Ciò voleva dire che se i prezzi del petrolio fossero schizzati verso l’alto il Tesoro avrebbe dovuto emettere sempre più Gilt per poter finanziare i sussidi offerti ai consumatori per aiutarli a sostenere i crescenti costi energetici. Questo rappresentava molto chiaramente un enorme problema per il reperimento di risorse finanziarie nel breve termine, considerando che i problemi relativi alle politiche fiscali si risolvono nel più lungo periodo, generalmente lungo l’arco di una legislatura. Perlomeno questo è quello che i politici vorrebbero farci credere.
Le previsioni sulla Francia
Per ritornare alla Francia, ritengo che le elezioni anticipate abbiano aumentato il divario fra la Francia e la Germania perché contribuiscono a rendere più assillanti le preoccupazioni sulla traiettoria del debito e sui rating. Tutto questo avviene in un contesto in cui viene meno il sostegno della BCE, grazie al progressivo disimpegno dai programmi d’acquisto. Per anni un potente programma di alleggerimento quantitativo ha aiutato ad abbassare gli spread di paesi periferici e semi-centrali. Ora siamo in fase di inasprimento quantitativo, o quantitative tightening (QT). Comunque, se da un lato un eventuale aiuto resta disponibile mediante i reinvestimenti del flessibile programma di acquisto per l’emergenza pandemica (PEPP) e, come extrema ratio, lo strumento di tutela della trasmissione monetaria (TPI), dall’altro i titoli di stato europei devono fare i conti con un sostegno che risente della minore partecipazione della BCE nel mercato del debito. Alcuni partiti promettono la riduzione dell’età di pensionamento. Dato che qui in Gran Bretagna si va in pensione a 66 anni, con un aumento previsto dei requisiti pensionistici a partire del 2026, siamo in tanti ad essere stupefatti dalla possibilità che i francesi possano invece ridurla da 64 a 62 e potenzialmente anche a 60. È chiaramente un lusso che non ci si può permettere ma è un lusso diverso da quello dei sussidi energetici di Truss, nel senso che è una miccia che brucia lentamente. Quello che Truss prometteva nel bel mezzo di una crisi energetica era l’opposto, una minaccia vicina e immediata. Anche se non credo che le elezioni anticipate daranno vita ad un “momento Truss” per il debito pubblico francese, sono comunque preoccupato per quanto si sta verificando nel Paese. I problemi formulati da S&P sui deficit e sul debito, oltre che sulla frammentazione politica, non solo persisteranno per un po’ ma addirittura peggioreranno. Sbrogliare questa matassa sarà difficile e fare promesse senza coperture finanziarie non aiuterà. Le obbligazioni francesi sono scese notevolmente di prezzo ma, e qui mi fermo, non vedo i nostri fondi effettuare acquisti prima che le implicazioni delle elezioni e le conseguenze legislative siano un po’ più chiare.