Titoli italiani sotto pressione: investitori scoraggiati da incertezza rapporti governo-UE
Da quando il governo italiano ha annunciato un deficit al 2,4% per il 2019, i titoli governativi italiani si sono trovati nuovamente sotto pressione. Lo spread nei confronti dei Bund tedeschi a 10 anni si è attestato sopra la soglia dei 300 pb per la prima volta dal 2013, trascinando verso il basso i titoli bancari e le obbligazioni subordinate. La reazione è stata provocata dalla significativa deviazione non solo rispetto all’orientamento definito dal precedente governo, in parte attesa, ma anche dall’obiettivo dell’1,6% annunciato dallo stesso ministro delle finanze a inizio settembre.
Le vendite in massa sui mercati si sono materializzate ancor prima che giungessero i giudizi delle agenzie di rating, previsti per fine ottobre, anticipando un rischio di declassamento ben superiore alla tripla B meno. Gli spread attuali dei CDS e delle obbligazioni italiane non solo sono più ampi di 150 pb rispetto al Portogallo, il cui rating è BBB-, ma anche rispetto ad alcuni paesi emergenti con rating “spazzatura” e fondamentali strutturalmente peggiori.
In effetti le reazioni del mercato al declassamento da parte di Moody’s sono state blande se non marginalmente positive, dato l’outlook stabile assegnato dall’agenzia. Reazioni leggermente migliori sono state suscitate dalla decisione di S&P di confermare il rating BBB, riconoscendo che l’Italia può ancora contare su “un’economia prospera e diversificata e una solida posizione netta con l’estero”. In ogni caso, dato che le attuali valutazioni sono molto più elevate di quelle dei paesi con rating simili e i timori di vedere l’Italia sprofondare presto a livello “spazzatura” si sono dissipati, il rimbalzo avrebbe potuto essere più pronunciato.
Sulla quotazione attuale influiscono quindi altri fattori oltre al rating. Tra di essi non vi è ancora il rischio di insolvenza: vista l’inclinazione positiva della curva dei rendimenti e nessun tasso sopra il 4%, è difficile sostenere che il mercato stia scontando un rischio di default a breve termine.
Per quanto possa sembrare banale, riteniamo che si tratti di incertezza dovuta a un mix di fattori politici ed economici. Dal punto di vista economico, per quanto il deficit non sia in sé così preoccupante, gli investitori hanno poca fiducia nelle proiezioni del PIL italiano e, pertanto, hanno iniziato a scontare un ulteriore deterioramento dei fondamentali, in particolare del rapporto debito/PIL.
Tuttavia, visto che lo spread attuale non è significativamente maggiore rispetto al livello di fine giugno, ossia molti mesi prima della pubblicazione del bilancio, è probabile che sia principalmente la sfida alla UE e agli Stati membri a creare incertezze e preoccupazioni negli investitori e ad essere alla base del maggior premio pagato dalle obbligazioni italiane. Con la modifica dell’outlook da stabile a negativo, la stessa S&P conferma queste preoccupazioni in quanto prevede aspettative di crescita eccessivamente ottimistiche, elevate probabilità di deterioramento dei fondamentali e, in particolare, maggiore incertezza a livello politico. L’agenzia dichiara che tutti questi fattori hanno minato la fiducia degli investitori che, pertanto, resta la principale ragione dell’attuale premio al rischio richiesto all’Italia. Per questi motivi non prevediamo un netto e prolungato miglioramento per gli asset italiani fino a quando non verrà ristabilita la fiducia.
Se questo è il caso, stentiamo a credere che tali incertezze si dissolveranno presto, a meno che il governo italiano faccia un deciso passo indietro. Ma ciò non avverrà per effetto delle azioni dirette o della pressione morale esercitata dalla Commissione europea o dalle agenzie di rating. L’unica ragione che potrebbe provocarlo sarebbe la pressione dei mercati sugli spread: nonostante la retorica utilizzata in campagna elettorale, sia i 5 Stelle che la Lega non possono ignorare l’impatto di costi di finanziamento più alti non solo sul bilancio preventivo ma, aspetto più importante, sulla situazione patrimoniale delle banche e, in ultima istanza, sull’elettorato. E infatti, anche se il governo continua ad adottare una linea dura nei confronti della UE, i toni nei confronti dei mercati si sono abbassati, lasciando intendere agli investitori che il livello dello spread ritenuto critico è intorno ai 400 punti base.
Se le nostre analisi sono giuste, quindi, la situazione potrebbe ancora peggiorare prima che possa migliorare nuovamente.