Tra inflazione, recessione e transizione energetica: cosa aspettarsi da qui a fine anno
In termini di inflazione, abbiamo visto i prezzi aumentare a livelli inimmaginabili da inizio anno, trainati in parte dal costo delle materie prime, comprese le quotazioni petrolifere. Sebbene ci sia stato un rallentamento della crescita inflattiva, l’inflazione resta ancora alta: negli Stati Uniti ha toccato l’8,3% ad agosto (battendo le aspettative di 8,1%), mentre in zona Euro si attesta al 9,1%. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che il ritmo dell’aumento dei prezzi del petrolio e della benzina – osservato soprattutto nella prima metà del 2022 – difficilmente proseguirà anche nel 2023. Pertanto, anche se i prezzi rimarranno elevati, il ritmo dei rincari sarà inferiore rispetto all’inizio dell’anno.
Le banche centrali, per fronteggiare questa straordinaria inflazione, hanno intrapreso una linea dura, con Fed e Bce che hanno alzato entrambe i tassi di 75 punti base a settembre. Come effetto di queste politiche restrittive, adottate per smorzare la domanda, dovremmo osservare un calo dell’inflazione verso fine anno e con l’avvento del 2023.
Non solo inflazione: i timori di recessione
A inizio 2022, con la fine della pandemia, avevamo osservato una ripresa economica. Ma nel corso dell’anno, con l’aumento aggressivo dei rialzi dei tassi d’interesse, è cresciuta l’incertezza. L’oggetto dei timori è ora cambiato: l’inflazione resta una fonte di preoccupazione, ma a questa si è aggiunto lo spettro di un rallentamento economico che potrebbe sfociare in una recessione. Quindi, sì, la recessione è in arrivo e la questione veramente importante sarà capirne l’estensione e la portata. Riteniamo che il rallentamento dell’economia in atto determinerà una recessione in Europa e potenzialmente anche negli Stati Uniti. Tuttavia, non crediamo che si tratterà di una recessione profonda come quella che si è verificata durante la crisi finanziaria globale del 2008-2009.
I rischi per i mercati: tensioni geopolitiche, transizione e crisi energetica
Il processo di transizione energetica, verso l’azzeramento delle emissioni nette, risulta piuttosto interessante se consideriamo ciò che è già accaduto con l’aumento dei prezzi delle commodity. Il rincaro delle materie prime, infatti, ha fatto salire notevolmente l’attrattiva relativa degli investimenti alternativi, determinando un incremento degli investimenti in questo segmento in futuro. Tuttavia, riteniamo che occorrerebbe riflettere approfonditamente prima di dare credito a chi sostiene la necessità di interrompere la produzione di combustibili fossili dall’oggi al domani. Occorre evitare una transizione troppo rapida in un momento in cui non sono disponibili alternative. In caso contrario, il prezzo delle commodity aumenterebbe, proprio com’è avvenuto con il petrolio. E quando ciò accade, le implicazioni sociali sono alquanto significative, soprattutto per le persone meno abbienti che tendono a spendere una quota maggiore del loro reddito in energia, riscaldamento e generi alimentari. Sono, infatti, queste fasce della popolazione a risentire maggiormente dei movimenti di prezzo repentini. Per queste ragioni, la transizione verso le energie alternative va certamente sostenuta, ma dobbiamo fare in modo che sia ben gestita e diluita nel tempo in modo tale da minimizzare l’impatto sociale negativo delle variazioni di prezzo.
Abbiamo assistito a un aumento dei prezzi delle materie prime alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Dopo l’invasione, il petrolio e i prodotti alimentari hanno evidenziato un ulteriore rincaro. Il prezzo del greggio nel terzo trimestre 2022 scambiava tra circa i 90 e i 110 dollari al barile. Guardando al futuro, via via che gli investitori inizieranno a considerare la potenziale distruzione della domanda causata dal rallentamento economico, riteniamo che il prezzo del petrolio non sarà necessariamente destinato ad aumentare in misura significativa rispetto ai livelli attuali. Tuttavia, teniamo a sottolineare che questo scenario presenta dei rischi, alla luce del fatto che la Russia potrebbe interrompere le forniture di petrolio o di gas naturale questo inverno, generando un nuovo balzo dei prezzi delle materie prime. Il nostro scenario di base prevede quindi una pressione minore sull’aumento dei prezzi. Tuttavia, non possiamo escludere che l’incertezza persistente a un certo punto possa far salire i prezzi.
Il conflitto in Ucraina, infatti, è ancora in pieno svolgimento. Con l’arrivo dell’inverno, soprattutto in Europa, sorgeranno timori sulle effettive capacità di approvvigionamento di gas naturale nel continente e, di conseguenza, del mantenimento dei livelli di produzione industriale, garantendo la redditività di alcune aziende europee. Le molteplici ripercussioni, politiche ed economiche, della guerra sembrano pertanto destinate a durare.
Asset allocation: opportunità nell’azionario americano
I titoli azionari hanno assistito a una prima metà dell’anno difficile, seguita poi da un recente rally estivo, ma non prevediamo un recupero delle perdite da parte dei mercati entro la fine dell’anno. Questo, però, può offrire opportunità agli investitori. Riteniamo che le azioni statunitensi abbiano potenziale, poiché l’economia americana è più autosufficiente di quella della maggior parte dei Paesi europei o dei mercati emergenti. Inoltre, le aziende americane sono incentivate non solo a sviluppare prodotti più sostenibili – ad esempio i veicoli elettrici – ma anche a rifornirsi di componenti a livello nazionale, incoraggiando così il re-shoring che sosterrà la crescita economica. Per quanto riguarda il reddito fisso, privilegiamo le obbligazioni di qualità superiore, che ci aspettiamo siano meno influenzate dall’incertezza del mercato.