Da metà marzo, i tassi di cambio del dollaro ponderati per lo scambio si sono deprezzati solo modestamente nonostante le misure di allentamento monetario della Federal Reserve. La Fed ha inoltre esteso le sue linee di swap in dollari ad altre Banche centrali dei Paesi sviluppati ed emergenti. Ciò ha ridotto la domanda di USD sul mercato spot il che significa che le aziende e le banche hanno potuto utilizzare finanziamenti a basso costo denominati in dollari senza dover entrare sul mercato spot e acquistare dollari.
I tagli dei tassi della Fed da allora hanno eroso il vantaggio del carry del dollaro e il calo dei rendimenti dei titoli decennali USA in particolare suggerisce che l’erosione dei tassi di interesse a lungo termine potrebbe essere permanente. A nostro avviso, con la stabilizzazione della ripresa economica globale, il biglietto verde si indebolirà leggermente in linea con l’inclinazione della curva dei rendimenti USA; di norma il dollaro USA registra delle flessioni con una curva dei rendimenti più ripida nei periodi di ripresa economica, in quanto gli investitori non hanno più bisogno di detenere beni rifugio.
La debolezza del dollaro è un fattore positivo per le valute dei Paesi del G10 ed emergenti. Il dollaro infatti ha un ruolo egemonico nel commercio oltre ad avere lo status di valuta di riserva e quindi anche un leggero calo del dollaro è vantaggioso per le prospettive di crescita globale in quanto il costo dei finanziamenti in valuta estera diminuisce e il commercio globale tende ad aumentare.
La debolezza del dollaro che dovrebbe diventare più evidente nella seconda metà dell’anno in seguito alla stabilizzazione della ripresa dell’economia globale, sarà di supporto sia per le valute dei Paesi del G10 ad alto beta sia per le commodity, i cui prezzi sono espressi in dollari.
L’euro beneficerà della ripresa economica globale, che riflette l’ingente contributo dell’Eurozona all’export mondiale. Il recovery fund della Commissione europea non rappresenta una svolta per l’euro, ma frenerà i rendimenti dei Paesi periferici. Prevediamo che il tasso di cambio EUR/USD potrebbe raggiungere quota 1,14 entro fine anno, principalmente a causa della debolezza del dollaro. La BCE non sosterrà un apprezzamento più rapido dell’euro, in ragione della fragilità dell’economia interna dell’Eurozona.
La sterlina tende normalmente a beneficiare durante i periodi di ripresa economica globale, ma la persistente prospettiva di un fallimento dei negoziati commerciali UE-Regno Unito potrebbe impedire un forte apprezzamento materiale nelle settimane o nei mesi a venire. Potrebbero aumentare anche le possibilità che la Bank of England applichi tassi di deposito negativi, il che sarebbe una novità assoluta per un’economia con un deficit delle partite correnti e, riteniamo, uno sviluppo estremamente penalizzante per la sterlina. La conclusione è che iniziano ad aumentare i rischi politici ed economici per la sterlina inglese e di conseguenza prevediamo che il cambio GBP/USD potrebbe scendere al di sotto di 1,20 nei prossimi mesi.
L’inizio di una ripresa dell’economia globale e il miglioramento del sentiment di rischio implicano un modesto calo della domanda di valute che godono dello status di beni rifugio. Tuttavia, lo yen e il franco svizzero saranno ancora soggetti a pressioni sottostanti al rialzo.
Il netto calo del differenziale di rendimento reale tra Stati Uniti e Giappone indica che il fair value del cambio USD/JPY è inferiore a 100. Come minimo, la compressione dei tassi di interesse americani, soprattutto sul lato lungo della curva, suggerisce che un incremento del tasso USD/JPY sarà meno probabile, pur in presenza di un continuo miglioramento del sentiment di rischio. L’ingente surplus delle partite correnti del Giappone continua a dare forte slancio alla domanda sottostante di JPY. La BoJ potrebbe sentirsi incoraggiata a intervenire sporadicamente per indebolire il JPY, ma crediamo che qualsiasi misura servirebbe solamente a rallentare il ritmo dell’apprezzamento del JPY e non cambierà la traiettoria dei tassi di cambio USD/JPY.
Per quanto riguarda la valuta cinese, invece, il grave deterioramento delle relazioni tra Stati Uniti e Cina suggerisce che se il governo USA applicherà ulteriori sanzioni politiche l’apprezzamento del renminbi diverrà alquanto improbabile. Prevediamo che il Presidente Donald Trump utilizzerà la sua posizione anti-cinese come uno dei principali argomenti della campagna per la rielezione.
Nei mesi a venire un simile atteggiamento continuerebbe a mettere a rischio le relazioni tra Washington e Pechino e impedirebbe una sostanziale rafforzamento del renminbi. Il rischio distinto di questo scenario è che il clima si deteriori ulteriormente. La leadership cinese si sente probabilmente molto sicura e quindi non intende fare marcia indietro sulla questione di Hong Kong. In caso di forti tensioni il tasso USD/CNH potrebbe salire a 7,40.
In sintesi, prevediamo una lieve debolezza dell’USD da qui a fine anno e pressioni rialziste per le valute dei Paesi G10 con beta elevato.