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Oro, per Schroders la corsa è solo all’inizio

Di norma, quando i tassi d’interesse salgono e i tassi reali sui titoli di Stato diventano positivi, il prezzo dell’oro tende a scendere. Ma, sottolinea James Luke, Fund Manager Metals di Schroders, non è quello che è accaduto negli ultimi 18 mesi. Al momento la quotazione si aggira attorno ai 2000 dollari all’oncia, ovvero indicativamente sui massimi storici, nonostante il fatto che, negli ultimi due anni, si sia registrato un rialzo molto significativo dei tassi d’interesse reali negli Stati Uniti. Anche il dollaro è stato piuttosto forte. Se nel 2022 avessimo detto agli analisti che i tassi d’interesse reali sarebbero passati da 100 punti base negativi a 200 positivi e che il dollaro sarebbe rimasto piuttosto stabile, tutti avrebbero affermato che l’oro si sarebbe attestato a un livello compreso tra i 1300 e i 1500 dollari all’oncia, ovvero indicativamente 500 dollari sotto il livello attuale.

Il 2008 e il 2022 sono stati anni di svolta per l’oro

Analizzando la storia del mercato dell’oro, si può considerare il 2008 come un punto di svolta. In precedenza, l’oro veniva scambiato più in base alle sue caratteristiche di commodity, che in riferimento ai tassi di interesse reali. Il vero punto di svolta è stata la crisi finanziaria globale e l’introduzione, nell’ambito di un’ampia risposta di politica monetaria, del quantitative easing. Dal punto di vista degli investitori, ciò ha sollevato preoccupazioni sulla svalutazione monetaria e fragilità sistemica di lungo periodo, e ha determinato una solida offerta sottostante relativamente all’oro per via delle sue caratteristiche monetarie. Si può dire che, dal 2008, i prezzi dell’oro sono diventati molto più sensibili a ciò che le Banche Centrali stavano cercando di conseguire. Se si considera la storia dei grandi movimenti del prezzo dell’oro dal 2008, ciò diventa davvero “visibile”. Ad esempio, il consistente movimento al ribasso a cui abbiamo assistito nel 2013 e nel 2014, quando i prezzi dell’oro calarono per tre mesi, nell’ordine di circa 500 dollari all’oncia, era chiaramente legato ai tentativi della Fed di normalizzare la politica monetaria, con l’abbandono del quantitative easing e l’avvio del quantitative tightening. È bastata la sola comunicazione che ciò sarebbe potuto accadere a causare vendite molto significative sul mercato dell’oro, in particolare da parte degli investitori occidentali. Analogamente, considerando il rovescio della medaglia, le fasi in cui la Fed non è stata in grado di proseguire la normalizzazione hanno segnato l’inizio di grandi rialzi.

Tuttavia, questa relazione, che ha predominato per gran parte degli ultimi 15 anni, si è interrotta all’inizio del 2022. Anche questa volta, come nel 2013, la Fed ha cercato di normalizzare la sua politica. Ha iniziato a ridimensionare il proprio bilancio e ha alzato significativamente i tassi d’interesse, aumentando così il costo opportunità legato alla detenzione di oro. Abbiamo quindi assistito a un calo significativo delle once fisiche detenute negli ETF occidentali, nell’ordine di circa 25 milioni di once dal picco. Negli ultimi trimestri abbiamo visto la domanda europea di lingotti e monete diminuire in modo decisamente significativo, soprattutto in Germania. Inoltre, abbiamo assistito a un sentiment sui mercati finanziari assolutamente flebile per il mercato dell’oro.

La domanda doppia da parte delle Banche Centrali ha continuato a sostenerne il prezzo

Tuttavia“, precisa il Fund Manager di Schroders, “non credo che la relazione sia improvvisamente scomparsa. L’impatto sul prezzo dell’oro è diminuito perché un altro acquirente, un’altra fonte di domanda, è diventato talmente forte da compensare le pressioni di vendita negative in Occidente, ovvero le Banche Centrali. I tassi d’interesse reali hanno iniziato un’accelerazione al rialzo all’inizio del 2022. Ed è proprio in quel momento che l’andamento dei prezzi dell’oro e dei tassi d’interesse reali inizia davvero a divergere. Dall’inizio del 2022, i prezzi dell’oro hanno fluttuato, diciamo, al di sotto di 1.800 dollari all’oncia, fino a superare i 2.000 dollari all’oncia. Tuttavia, sono rimasti relativamente alti rispetto all’andamento dei tassi d’interesse reali. Appare del tutto chiaro che il punto di svolta è il primo trimestre del 2022, che coincide perfettamente con l’invasione russa dell’Ucraina. Il più grande delta sul fronte della domanda d’oro è stata decisamente la domanda delle Banche Centrali, direttamente correlata all’invasione dell’Ucraina e alla risposta occidentale a tutto questo. La domanda di oro da parte delle Banche Centrali, al netto, era stata positiva dal 2008, ma, nel 2022 e 2023, è quasi raddoppiata rispetto alla media post 2008. Il cambiamento maggiore, quindi, è giunto dalle Banche Centrali, ma la domanda di lingotti e monete d’oro è stata decisamente consistente anche in Cina e in Medio Oriente, raggiungendo livelli record nei dati del World Gold Council. Tutti fattori che hanno controbilanciato le massicce vendite di oro occidentali, stabilizzandone il prezzo nel range 1.630-2.000 dollari l’oncia“.

Le prospettive per il 2024

Secondo la view di James Luke, guardando al 2024, se si immagina uno scenario in cui gli Stati Uniti si dirigono in modo più deciso verso il tipo di flessione che quasi tutte le stime prevedevano per il 2023, e ipotizzando un contesto di cessazione delle liquidazioni degli ETF, potremmo assistere a un ritorno dell’interesse per l’oro negli Stati Uniti e in Europa. Tuttavia, con una permanenza dell’offerta strutturale delle Banche Centrali. “Ritengo che, se si manifestasse un impulso coordinato in termini di domanda di Paesi occidentali e orientali, potremmo assistere a tendenze sorprendentemente forti per i prezzi dell’oro, che potrebbero sconvolgere gli investitori. A nostro giudizio, è quindi del tutto prudente prevedere che, per il 2024, il livello di 2.000 dollari all’oncia diventerà un fattore di supporto più che un elemento di resistenza, come è stato negli ultimi tre anni. Se il nostro scenario si concretizzasse, ritengo che l’impatto sulle valutazioni per i produttori d’oro sarebbe trasformativo, con un enorme potenziale di recupero per questi titoli azionari“.