Società

Otto mesi di reclusione per direttore Panorama

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ROMA (WSI) – Il Tribunale di Milano ha condannato il direttore di Panorama, Giorgio Mulé, a 8 mesi di reclusione, senza sospensione condizionale della pena, in un processo con al centro una presunta diffamazione ai danni del procuratore di Palermo, Francesco Messineo, in relazione ad un articolo del 2010 pubblicato sul settimanale. Condannato a un anno di carcere anche un altro giornalista, Andrea Marcenaro.

A riportare la notizia, oggi, ‘Il Giornale’, il cui direttore, Alessandro Sallusti, lo scorso autunno, era stato condannato in via definitiva per diffamazione di un altro magistrato, Giuseppe Cocilovo, a 14 mesi di reclusione dalla Cassazione, finendo agli arresti domiciliari. A Sallusti, poi, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, aveva concesso la grazia.

“La miglior risposta alla mia condanna è nell’editoriale di oggi, scritto prima della sentenza: ‘A Palermo parte la Norimberga de’ noantri’ “, scrive su Twitter Mulé. La sospensione di pena non è stata concessa dai giudici in quanto lo stesso Mulé è già stato condannato otto anni fa in un altro procedimento al pagamento di un’ammenda.

Un articolo di Panorama del 2010

Nel processo milanese Mulé era imputato per omesso controllo in relazione alla presunta diffamazione contestata a Marcenaro, autore dell’articolo su Messineo dal titolo “Spatuzza e le stragi del ’93: aridatece Caselli”.

Leggi l’articolo di Panorama del 2010

Nel pezzo di Marcenaro, fra l’altro, di Messineo si diceva: “Parlare di carisma è francamente improprio. Guai a toccarlo, intendiamoci. Se lo fai e rilevi, per esempio, la sua parentela a dir poco ingombrante con un imprenditore più volte al centro di indagini per mafia, è perché ‘si vuole fermare la procura di Palermo nel progredire di delicatissime indagini sulle relazioni esterne di Cosa nostra‘. Questa almeno è la citazione testuale di un documento di solidarietà col capo, firmato da non tutti i suoi sostituti la scorsa primavera. Ma Messineo è un procuratore a termine, e lui lo sa bene”.

E ancora: “Con un procuratore tanto in ombra, non c’è dopo tutto da stupirsi dell’esistenza di un procuratore ombra. Il quale infatti esiste e si chiama Antonio Ingroia, 51 anni, allievo di Paolo Borsellino, formalmente procuratore aggiunto, acuto, ambizioso quanto basta. È lui il vero capo, proclamano i detrattori suoi. Esattamente così, confermano i detrattori di Messineo”.

Una procura, quella palermitana, della quale peraltro anche alcuni quotidiani, prima di Panorama, avevano descritto contrasti e divisioni.

Messineo tuttavia, sostiene il direttore del Giornale, nel processo ha sostenuto di aver ricavato dalla lettura dell’articolo del settimanale “una impressione complessiva di delegittimazione e di aggressione morale, nell’articolo si ridicolizza la mia figura”. Da qui la denuncia per diffamazione mezzo stampa.

La vicenda citata nell’articolo di Panorama, quella dell’imprenditore Sergio Sacco, cognato del procuratore di Palermo, era stata archiviata anche in sede Csm dopo che si era conclusa con esito negativo un’indagine a carico di Sacco per associazione a delinquere di stampo mafioso. Il Procuratore generale di Palermo, Luigi Croce, aveva assicurato che il caso Sacco, non aveva procurato alcun discredito a Palazzo di Giustizia sul procuratore Messineo, che aveva registrato al contrario espressioni di stima non solo dai colleghi della procura, ma anche da parte degli avvocati della Camera penale di Palermo.

La sentenza Mulé – Marcenaro

Il giudice monocratico di Milano, Caterina Interlandi, ha anche disposto un risarcimento di 20mila euro a favore del procuratore di Palermo. La sentenza è di primo grado, quindi, prima che la pena diventi definitiva dovrà superare il vaglio della Corte d’Appello di Milano e della Cassazione.

Le reazioni: reagisce solo il centrodestra

“La condanna al carcere per il direttore di Panorama Giorgio Mulè e per il giornalista Andrea Marcenaro, emessa ieri dal tribunale di Milano – dice il presidente dei senatori del Pdl, Renato Schifani – è una nuova pagina nera per la libertà di stampa nel nostro Paese. Credo che sia arrivato ormai il momento inderogabile per mettere in campo iniziative parlamentari condivise, in grado di sanare questo vulnus e di eliminare l’arresto per i reati d’opinione”.

“Ci risiamo – dice il capogruppo PdL alla Camera Renato Brunetta – Un giornalista scrive un articolo, il direttore lo pubblica, un magistrato querela, un altro magistrato infligge il carcere ai due giornalisti, negando le attenuanti. Non c’è bisogno certo di ergersi a paladini per scandalizzarsi di questo cortocircuito giudiziario. E’ davvero grave”.

“Il delitto? Aver osato esprimere un parere circa la politicizzazione dei magistrati della procura di Palermo – dice Gasparri – dimenticando che lo stesso procuratore capo Messineo aveva espresso parole dure sugli ‘schieramenti di carattere ideologico’ in cui è divisa la procura palermitana. E’ una condanna assurda, ancora più grave perche’ non viene applicata la condizionale. Altro che bavaglio. Si vogliono i giornalisti in carcere appena osano toccare la casta dei magistrati”.

Nessuna reazione, al momento, da esponenti del centrosinistra o da associazioni per la libertà di stampa come Articolo 21.