Non c’è “nessun ruolo intrusivo” del governo italiano verso MPS. Lo ha detto il ministro dell’economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, nel corso di un collegamento con il teatro Franco Parenti, in cui è stato intervistato da Claudio Cerasa, direttore de “Il Foglio”.
Padoan ha bollato anche solo l’ipotesi di una nazionalizzazione come “idea strana”, poco prima del vertice straordinario che si è tenuto al Mef, e che ha avuto come oggetto i problemi delle banche italiane. A essere particolarmente discussa, la questione della vendita delle quattro good bank,nate dalle macerie di quelle quattro bad bank salvate con la procedura di bail-in.
Quattro good bank a cui il governo – nonostante si siano trasformate da bad a good per l’appunto -, dovrà lanciare molto probabilmente un salvagente, visto che la stessa Ubi Banca si è sentita quasi obbligata a precisare, nelle ultime ore, che il suo eventuale interesse nei confronti degli istituti dipende dal valore aggiunto che un loro acquisto potrebbe dare a suoi azionisti e che, in nessun caso, sarebbe pronta a una missione che implicasse il salvataggio.
Su Mps Padoan ha tenuto a precisare che il Tesoro è sì il primo azionista, ma “utilizza questa posizione in modo soft, di vigile attenzione a ciò che la banca sta facendo”. Il ministro ha ribadito la propria fiducia nei vertici e nel piano di rafforzamento che reputa “molto valido” e ha detto di essere convinto che l’aumento di capitale di 5 miliardi “avrà successo”. D’altronde, il nuovo amministratore delegato, Marco Morelli, “è stato votato all’unanimità dal cda” e “sarà sottoposto alla diligence da parte della Bce”.
Insomma, il messaggio di Padoan- almeno quello ufficiale – è stato chiaro:
“Non vedo la necessità” di un intervento pubblico in Mps e “non vedo la necessità di alimentare idee strane che suscitino posizioni predatorie“.
Sul vertice straordinario di ieri sera, che è durato due ore circa, così fonti del Mef:
“Un incontro di routine che fa parte di una consuetudine che si va consolidando con una overview sullo stato di salute del sistema bancario internazionale e le eventuali ripercussioni che potrebbero arrivare dall’aggravarsi degli stati di crisi di grandi gruppi che non hanno sede in Italia. Discusso anche il quadro italiano senza riferimenti a specifici casi”.
Al vertice hanno partecipato, oltre a Pier Carlo Padoan, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, il presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti, i vertici di Unicredit e Intesa, l’Ad di Ubi Banca Victor Massiah e il presidente di Cdp Carlo Costamagna.
Rimane poco chiaro il destino delle good bank.
Ubi Banca sarebbe interessata a tre delle quattro good bank: Banca Etruria, Cassa Marche e Cassa di Chieti. Lo scoglio è rappresentato dalle richieste della BCE, che avrebbe chiesto un aumento di capitale di almeno 600 milioni, stando alle indiscrezioni, che Ubi non sarebbe disposta ad accettare se non nel caso di risparmi fiscali concessi dal governo.
In ogni caso, la Bce avrebbe già detto no al piano di Ubi, che implicherebbe un aumento di capitale di 400 milioni di euro, 200 milioni in meno rispetto a quelli richiesti.
Così scrive La Stampa sul caso delle quattro good bank:
“A questo punto giova ricordare che lo scorso 30 luglio vennero dichiarate non ricevibili le offerte di due fondi Usa, Apollo e Lone Star, per l’acquisto di tutte e quattro. Le cronache hanno riferito di ragioni «più formali che sostanziali», ma nessuna motivazione ufficiale è mai arrivata. L’offerta di Apollo, secondo quanto ricostruito da più fonti, prevedeva anche una forma di ristoro per i risparmiatori. Con gli obbligazionisti che avrebbero ricevuto azioni e i vecchi azionisti degli warrant. Questione più di sostanza che di forma”.
Detto questo, come aggirare il no della Bce? Sempre il quotidiano La Stampa nota come il governo potrebbe decidere di giocare le carte Unicredit e Intesa:
“Come già avvenuto in passato ci si vorrebbe affidare alle cosiddette «soluzioni di sistema». Con un occhio a Cdp e Fondo Atlante ma soprattutto a Banca Intesa ed Unicredit, verso le quali sarebbe già ripartito il pressing. Da loro, che pure hanno già finanziato ampiamente i due fondi Atlante ed erogato assieme ad Ubi un prestito ponte da 1,6 miliardi destinato alle 4 «good banks», ci si aspetta un ulteriore sforzo, ad esempio per togliere dal groppone di Ubi i 3,4 miliardi di nuove sofferenze che le 4 banche hanno generato da inizio anno. Ma Intesa non ne vuole sapere e Unicredit ha altri guai di suo, per cui entrambe fanno muro. Per ora”.