Prepariamoci a dire addio al tetto dei due mila euro per i pagamenti in contanti. Dal 1 gennaio 2022 se il contribuente avrà la necessità di effettuare un pagamento superiore ai mille euro, limite fissato per l’utilizzo dei contanti, sarà obbligato a utilizzare strumenti tracciabili quali carta di credito o bancomat, l’assegno o il bonifico postale/bancario.
Il limite ai pagamenti in contanti troverà applicazione per tutti i tipi di trasferimento di denaro, compresi prestiti e donazioni, indipendentemente dal grado di parentela.
Pagamenti in contanti, contrasto all’evasione
Questo provvedimento è un altro passo avanti nella strada imboccata due anni fa dal governo volta a ridurre le transazione cash. Con il primo gennaio 2022, viene dunque superato il precedente limite dei 2 mila euro fissato con il decreto Fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2020.
Ma il tetto al cash non è l’unica arma nell’arsenale del Governo italiano per combattere l’evasione fiscale. Nel “Rapporto sull’evasione fiscale e contributiva” allegato alla Nadef, il Documento di Finanza Pubblica è stato ribadito l’importanza sull’Isa, gli Indici sintetici di affidabilità, ovvero un indice che esprime un giudizio di sintesi sull’affidabilità fiscale del soggetto, calcolato come media aritmetica di un insieme di indicatori elementari di affidabilità e di anomalia che rappresenta il posizionamento del contribuente rispetto a tali indicatori.
Fatturazione elettronica, anonimetro, anagrafe dei correnti sono tra gli altri strumenti su cui il governo punta per ridurre l’evasione fiscale. In questo contesto, potrebbe inoltre sparire dalla circolazione anche taglio più grande delle banconote, quelle da 500 euro.
La Banca Centrale Europea, nonostante abbia smesso di produrne da circa di anni proprio per le preoccupazioni legate a “pratiche illegali” collegate al loro utilizzo, ciò non ha impedito alle banconote già stampate di continuare a circolare.
Solo nel 2020 sono stati scoperti 3.546 evasori totali, esercenti attività d’impresa o di lavoro autonomo completamente sconosciuti all’Amministrazione finanziaria (molti dei quali operanti attraverso piattaforme di commercio elettronico) e 19.209 lavoratori in nero o irregolari. I sono dati emersi da interventi mirati e selettivi, fondati sull’incrocio delle banche dati fiscali e di polizia, sul controllo economico del territorio e sulle risultanze delle indagini di polizia giudiziaria e valutaria.
Evasione fiscale, la mappa regione per regione
In attesa della riforma fiscale annunciata dal governo Draghi e slittata per il momento a settembre l’ufficio studi della CGIA di Mestre ha stimato che nel 2018 l’evasione presente in Italia si è attestata a 109,8 miliardi di euro; praticamente oltre 6 punti di Pil. In altre parole, per ogni 100 euro di gettito versato all’erario da cittadini e imprese, 15 sono “rimasti” nei portafogli degli evasori.
La CGIA di Mestre ha stimato l’evasione fiscale regione per regione. Dai calcoli emerge che nel Sud ci sono le situazioni più “pesanti”: la Calabria, ad esempio, ha registrato una percentuale dell’economia non osservata sul valore aggiunto regionale pari al 21,3%; questo ha “provocato” 3,3 miliardi di imposta evasa: in pratica ogni 100 euro di tasse versate dai contribuenti calabresi, al fisco ne sono “sfuggiti” 24,5 euro.
Critica anche la situazione in Campania che presentava un peso dell’economia sommersa pari al 19,8%, 10,2 miliardi di imposta non versata che, in termini percentuali, ha portato l’evasione a toccare il 22,7 per cento. Subito dopo troviamo la Sicilia con un’economia in nero del 19,3%, un’evasione di 8,1 miliardi, pari al 22,2 per cento.
Le realtà territoriali più “fedeli” al fisco, invece, sono state la Provincia Autonoma di Trento (evasione all’11,3%), la Lombardia (11%) e la Provincia Autonoma di Bolzano (9,7%).