L’invecchiamento della popolazione italiana è un dato di fatto e un rischio per la nostra economia, in particolare per il sistema pensionistico. Ma dall’altro lato, vivere più a lungo ha anche delle conseguenze positive per il nostro sistema economico: basti pensare alla silver economy. Ne abbiamo parlato con Nicola Palmarini, direttore del National Innovation Center for Ageing del governo inglese.
Perché ritiene che la tendenza non sia quella di invecchiare, ma di vivere meglio?
È bene chiarire. Invecchiamo e, al tempo stesso, viviamo più a lungo. È questa la tendenza combinata che fa del momento storico che viviamo un unicum nella nostra storia di umani su questo pianeta. Mai prima d’ora cinque generazioni si erano trovate a votare per gli stessi politici o a fare la stessa fila insieme nei supermercati o a lavorare gomito a gomito nello stesso ufficio.
Ora, per quanto le ragioni che ci permettono di vivere più a lungo sono molteplici – dall’informazione, alla ricerca – ci interessa poco il vivere più a lungo in sé. Ci interessa farlo stando bene, in salute. Ci interessa vivere “meglio” nella nostra vecchiaia, stando alla sua domanda. E qui la cosa si complica, perché i dati ci lasciano vedere chiaramente che “aspettativa di vita” e “aspettativa di vita in salute” purtroppo non vanno di pari passo. Anzi, abbiamo Paesi tra cui l’Inghilterra, in cui questo dato anziché progredire, regredisce. Su questo dobbiamo concentrare le nostre energie e su questo dobbiamo impostare le strategie di longevità.
Qual è la situazione in Italia?
In Italia l’aspettativa di vita è pari a 83,3 anni, mentre l’aspettativa di vita in salute è di 71,9 anni. La nostra situazione è peggiore rispetto a quella di paesi come Singapore, Giappone e Spagna. Abbiamo un sistema sanitario efficace, ma anche fattori culturali e patologie croniche più deleterie di altre. Possiamo ancora fare molto.
Come mai la popolazione over 60 è uno dei pochi motori della crescita economica globale?
Potrei rispondere con i numeri e dire che 63 pence per ogni sterlina spesa nell’economia del Regno Unito sarà spesa da famiglie di anziani entro il 2040, o che il potere di spesa globale dei consumatori di età superiore ai 60 anni entro il 2030 è stimato in 22 mila miliardi di dollari, o che in Italia i due terzi dei patrimoni superiori ai 200 mila euro sono in mano alla fascia over-55.
Ma preferisco dire che a differenza di una società dell’invecchiamento che risponde retrospettivamente ai cambiamenti nella struttura dell’età della popolazione adattandosi, quella in cui stiamo entrando, ovvero la società della longevità, cerca di sfruttare i vantaggi di una vita più lunga cambiando il modo in cui invecchiamo così come il modo in cui viviamo questo cambiamento. In altre parole, ci troviamo ad essere i protagonisti di una vita, e quindi di desideri, passioni, priorità che non erano stati affatto previsti dalla società per come l’avevamo immaginata fino a ieri, così impegnata a cercare di rispondere a degli ipotetici bisogni che avremmo potuto avere da vecchi. Faccio davvero fatica a definirla una “silver economy”, forse sarebbe ora di iniziare a parlare di una evergreen economy.
Quali sono le opportunità della longevità per le imprese?
Il fatto che alla politica e a una classe dirigente capace di negare la propria stessa vecchiaia, essendo alla permanente ricerca di una narrazione giovanilistica e di modelli (non replicabili) Silicon-Valley-like, non passi per la testa di investire in mercato e ricerca e rendere la nostra vecchiaia un valore di industria al pari della moda e del turismo è, a mio modestissimo avviso, la più grande opportunità sprecata del nostro tempo.
E credo che l’Italia sia già quasi in ritardo rispetto ad altri Paesi. La Spagna e l’Inghilterra, ad esempio, si stanno già organizzando in questo senso. Le imprese hanno da fare un primo salto epocale che è difficilissimo perché radicato nei profondi meandri della società e di come ci hanno educato: ovvero un cambio culturale.
Se e quando riusciranno a fare questo salto paradigmatico, ovvero a rendersi conto che l’ossessione per la “giovinezza” del brand e il rifiuto (nelle narrative, nelle offerte, nelle strategie) dell’accettazione della cosa più normale e umana che ci accade, ovvero invecchiare, si renderanno conto dell’enorme opportunità che hanno davanti. Ovvero, vendere prodotti e servizi a clienti – 2 miliardi nel 2050 – che stanno ancora aspettando qualcuno che li sappia ascoltare e interpretare.
Quali sono le opportunità per le società finanziarie?
Credo che abbiamo, ancor prima di un’opportunità, una responsabilità. Il loro storico ruolo di advisor, abilitatore e protettore del nostro futuro le pone all’avanguardia nello sviluppare quelle nuove narrative legate alla longevità e non alla vecchiaia di cui dicevo. E qui risiede la maggiore opportunità.
Saranno infatti le prime a cogliere come interpretare, e quindi capire come e cosa vendere, per quei casi della vita che ancora non sono codificati o opportunamente considerati: i divorzi in tarda età, il fatto che le donne vivano più a lungo degli uomini, il tema della casa che da castello diventa orpello, le necessità di nuove modalità di socialità, l’avere un senso nella società del futuro sono alcune delle opportunità che possono ridisegnare sia le logiche di risparmio, sia quelle di investimento.
Senza contare gli investimenti nel settore della biologia della longevità, che credo sia ora che qualcuno prenda seriamente in considerazione nella composizione dei loro portafogli. Con una ricaduta cruciale sulla tenuta e lo sviluppo di una società in cui, a mio avviso, spariranno le generazioni per come le abbiamo immaginate fino ad oggi per dare vita a un sistema molto più fluido e sempre meno centrato sull’età in quanto tale.