I 13,4 milioni di file dei Paradise Papers, che vengono man mano resi pubblici, stanno facendo luce sulle attività ai limiti della legalità dei centri finanziari offshore, spingendo paradisi fiscali come Vanuatu a rivedere la propria politica, e le autorità occidentali ad avviare indagini sulla condotta sospetta di diverse personalità di spicco. Il consorzio di giornalisti investigativi internazionale ICIJ ha pubblicato oggi dei nuovi dati presi dal database che contiene rivelazioni offshore su 25 mila entità.
Facendo luce sugli interessi offshore, i Paradise Papers potrebbero fare cadere qualche testa grossa nel mondo politico e industriale. Le indagini sui paradisi fiscali vedono coinvolti personalità del mondo dello spettacolo, manager, multinazionali e politici, come per esempio due ministri Usa (del Commercio e del Tesoro), Wilbur Ross e Rex Tillerson.
I documenti dello studio legale offshore Appleby fanno riferimento a più di 30 giurisdizioni offshore e coprono un periodo di oltre 60 anni (fino al 2014). Nei file compaiono i nomi di azionisti, funzionari e manager di tutto il mondo che hanno fatto affari con fondazioni, trust e società offshore. In alcuni casi specifici sono rivelati anche i nomi dei veri proprietari dei veicoli segreti di custodia del patrimonio.
Più del 70% dei nuovi file pubblicati venerdì 17 novembre appartengono a entità con attività nelle isole Bermuda e Cayman. Centinaia di file sono invece legati all’Isola di Man, a Jersey e alle Mauritius. La maggior parte di questi documenti non offre tuttavia le informazioni sui soci azionisti e i proprietari dei conti offshore. A essere entrato in possesso delle rivelazioni per primo è stato il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, che ha poi diffuso i dati con il consorzio ICIJ e una rete di più di 380 giornalisti in 67 paesi differenti.
Dopo la rivelazioni esplosive, che hanno portato a galla legami tra la Russia e il segretario del Commercio di Trump, Ross, gli affari segreti del chief fundraiser del premier canadese Justin Trudeau e le scappatoie fiscali di più di 100 multinazionali, tra cui Apple, Nike e Uber, le autorità Statali europee hanno fatto sapere che intraprenderanno azioni legali per lottare contro questi schemi di elusione fiscale. In Usa un gruppo di senatori ha richiesto che vengano condotte due inchieste ufficiali sui possedimenti finanziari di Ross e su un eventuale conflitto di interessi.
Paradise Papers: Vanuatu sta già prendendo provvedimenti
Situato nelle acque dell’Oceano Pacifico tra Australia e Fiji, il micro Stato ha subito sanzioni l’anno scorso per non aver drispettarto gli standard contro il riciclaggio stabilite dalla task force Financial Action. La FATF, un organismo intergovernativo creato dai paesi del G7, ha messo l’ex colonia anglo Francese nella lista grigia dei paesi che favoriscono l’evasione fiscale. Etichetta alla quale appartengono anche Iraq, Siria e Yemen. Le banche di Vanuatu ne stanno ancora pagando le conseguenze.
Lo scoppio dello scandalo dei Paradise Papers, smascherando i ricchi clienti aziendali che hanno parcheggiato i loro patrimoni nei conti offshore dell’isola, ha inflitto un altro duro colpo alla reputazione del paradiso fiscale. Le autorità di controllo e i banchieri di Vanuatu hanno fatto sapere che la banca centrale francese ha ordinato agli istituti nazionali di stare alla larga dall’isola, mentre Commerzbank e Citigroup hanno interrotto i rapporti con le banche di Port Vila, la capitale e centro finanziario offshore dello staterello.
“Ora è molto più difficile finanziare le operazioni in entrata e in uscita a Vanuatu piuttosto che nel resto del mondo”, si lamenta a Bloomberg Martin St-Hilaire, managing director della società di consulenza contabile AJC e presidente dell’associazione del centro finanziario di Vanuatu.
Vanuatu, un paese economicamente sotto sviluppato che fa affidamento sui dazi alle importazioni e sui contribuiti stranieri per sostentare, per finanziare i pagamenti governativi dipende in gran parte dall’Iva: non ci sono infatti né tasse sul reddito personale e aziendale, né imposte di successione o sulle plusvalenze. Fino a poco tempo fa il governo non pretendeva di avere informazioni dettagliate sull’assetto proprietario delle società attive nel territorio.
Adesso la musica è cambiata e ci si interroga sui pro e contro del business del settore finanziario offshore, che rappresenta soltanto il 4% del Pil di $800 milioni, ma la cui esistenza ha bisogno di un contesto fiscale ultra accomodante, che priva il governo di entrate tributarie importanti. L’inserimento di Vanuatu nella lista grigia da parte di FATF potrebbe essere il colpo di grazia per il settore, con il governo che sta rimettendo in discussione le proprie politiche in materia fiscale.
Johnson Naviti, un consulente politico del governo e direttore generale dell’ufficio del primo ministro Charlot Salwai, ha dichiarato a Bloomberg: “Abbiamo veramente bisogno del settore offshore? Non staremmo forse meglio senza? È una possibilità”.