Società

Paradisi fiscali, la mappa dei paesi dove si pagano meno tasse

Il Principato di Monaco, il Granducato del Lussemburgo, il Liechtenstein, le Channel Islands che sono situate nel canale della Manica e le Bermuda. Sono questi i primi cinque paradisi fiscali al mondo secondo uno studio recente del World Inequality,

E tra questi i super ricchi italiani e le multinazionali che operano nel nostro paese scelgono soprattutto Montecarlo e il Lussemburgo.

Chi sono i super-ricchi italiani che scelgono i paradisi fiscali

Così la CGIA di Mestre secondo cui circa 8mila connazionali hanno deciso di trasferire la loro residenza nel Principato di Monaco per via delle tasse zero sul reddito e sugli immobili. Tra questi connazionali, dice l’associazione degli artigiani di Mestre, ci sono grandi imprenditori, sportivi e celebrità dello spettacolo. In Lussemburgo, invece, possiamo trovare ben sei banche del nostro Paese, una cinquantina di fondi d’investimento, vari istituti assicurativi e molte multinazionali italiane e straniere che operano nel nostro territorio.

Quando un Paese è considerato un paradiso fiscale

La Cgia ricorda che le caratteristiche dei Paesi black list, da considerarsi come paradisi fiscali, sono state definite dall’OCSE già nel 1998, in occasione della pubblicazione del rapporto “Harmful Tax Competition – An Emerging Global Issue”. In particolare un paese è considerato un paradiso fiscale quando sussiste:

• sostanziale mancanza di imposte sui redditi delle imprese costituite nei propri territori;

• assenza, all’interno dei rispettivi ordinamenti giuridici, dell’obbligo per le società ivi costituite di svolgere un’affettiva attività d’impresa nei relativi territori;

• poca trasparenza del sistema legislativo e amministrativo, che consente a determinati soggetti di beneficiare di privilegi in termini
di ridotta tassazione dei redditi;

• assenza di alcun meccanismo di scambio delle informazioni fiscali tra tali Paesi e gli altri Stati finalizzato a garantire la potestà impositiva
di questi ultimi e a combattere i fenomeni di evasione ed elusione fiscale internazionale.

Come le multinazionali che non pagano le tasse ci impoveriscono

L’associazione stima che grazie ai super-ricchi con la residenza all’estero, alle manovre borderline delle multinazionali e dei grandi gruppi industriali che si rifugiano nei paradisi fiscali di tutto il mondo, ogni anno “sfuggono” all’erario italiano circa 10 miliardi di euro.

E quando questi elusori fanno profitti miliardari senza pagare le tasse nel nostro Paese, non fanno altro che impoverirci. E la Cgia mostra il perché: le multinazionali che non pagano le tasse nel nostro paese usufruiscono delle nostre infrastrutture materiali (porti, aeroporti, strade, ferrovie), ricorrono a quelle sociali (giustizia, sanità, scuola, università), sfruttano quelle immateriali (reti informatiche), senza però contribuire con le tasse come dovrebbero. A voler dare qualche numero, secondo l’Area Studi di Mediobanca, nel 2022 le società controllate dalle prime 25 multinazionali del web presenti in Italia hanno fatturato ben 9,3 miliardi, ma hanno pagato all’erario solo 206 milioni di euro di imposte.

Inoltre per insediarsi in Italia, queste holding usufruiscono di agevolazioni/incentivi pubblici e quando sono in difficoltà e devono affrontare situazioni di riorganizzazione aziendale ricorrono alle indennità erogate dall’Inps. “Risultato? Le disuguaglianze aumentano e la povertà cresce; gli altri contribuenti devono pagare di più per servizi spesso insoddisfacenti. Se invece tutti pagassero ciò che devono, lo Stato incasserebbe di più e la maggior parte dei cittadini pagherebbe meno: avremmo così maggiori risorse per aiutare chi è in difficoltà e potremmo ottenere una giustizia sociale migliore” scrive la Cgia.