Lo scandalo Panama Papers non porta alla luce un fenomeno nuovo, ma certo, data la sua imponente dimensione, aiuta a riflettere sulla massa di denaro che viene costantemente sottratta alle casse pubbliche. Solo nell’Unione Europea il costo dell’evasione dovuta ai paradisi fiscali costa qualcosa come 860 miliardi di euro l’anno, secondo James S. Henry, ex capo economista della McKinsey. L’esistenza dei porti sicuri nei quali mettere al riparo ingenti fortune è un elemento integrato della libertà di movimento dei capitali, e lo stesso discorso vale anche per il dumping fiscale che facilita l’elusione di aliquote gravose a multinazionali come Apple o Amazon. A fornire un’analisi di ampio respiro sulla complessità di questo sistema, ostile alla stragrande maggioranza dei cittadini, sono Guido Iodice e Thomas Fazi, da tempo impegnati in una puntuale critica ai modelli di crescita economica, con particolare attenzione alla realtà europea. Tenuto conto del fatto che otto fra i venti maggiori paradisi fiscali al mondo si trovano proprio in Europa ( Svizzera, Lussemburgo, Jersey, Germania, Regno Unito, Belgio, Austria e Cipro), Fazi e Iodice evidenziano semplicemente che la montagna di denaro deviata dal fisco poggia il suo peso su una maggioranza di contribuenti che non sono certo nella condizione di sfruttare né l’elusione né tanto meno hanno interesse a aprire conti offshore. Non solo:
“Negli ultimi decenni gli Stati hanno rinunciato a tassare i grandi patrimoni – attivamente per mezzo di politiche fiscali anti-redistributive o passivamente, tollerando il fenomeno dell’evasione fiscale – e hanno iniziato a chiedere loro in prestito, con il dovuto interesse, i soldi che hanno smesso di chiedere loro sotto forma di imposizione fiscale. In pratica, il debito pubblico, da strumento di politica economica nell’interesse pubblico, si è trasformato progressivamente in un meccanismo di “welfare al contrario”
Garantire la libertà di movimento delle multinazionali, infatti, pone una dura sfida al singolo stato: aliquote troppo alte per imposte come quella sugli utili delle società spingono le grandi compagnie verso Paesi meno “ostili” (vale lo stesso quando si parla di Robin Hood Tax sulle transazioni finanziarie). La conseguenza osservata in Europa è che questo genere di concorrenza nell’imposizione fiscale dei diversi Paesi ha portato a aliquote molto più basse della media.
Secondo uno studio di Murphy, citato dagli autori: “l’evasione fiscale ha contribuito a impoverire le masse europee, in quanto gli Stati si sono visti “costretti” a compensare la riduzione delle entrate aumentando la tassazione sul lavoro, tagliando i servizi o, appunto, indebitandosi sempre di più”.
Quello che i Panama Papers possono ricordare alla pubblica opinione è che, anche per colpa dei paradisi fiscali, nessun modello di sviluppo basato su principi di equità sociale risulta sostenibile nel contesto del capitalismo attuale.