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(WSI) – Ancora un giro di giostra per le principali piazze finanziarie internazionali. Che per la quarta volta consecutiva si apprestano a chiudere l’anno con il segno più. I numeri del 2006, dunque, hanno dato ragione alle previsioni dei gestori, fatta eccezione per la grande delusione, il Giappone, atteso in forte crescita, e che oggi viaggia a ridosso dei livelli di inizio anno. Nonostante un triennio (2003-2005) di rialzo delle Borse per gli esperti il motto è rimasto comunque «azioni, azioni, azioni».
E per il 2007 la musica non cambia, anche se le incognite non mancano. A partire dalla debolezza del biglietto verde, ormai proiettato verso i minimi storici: il cambio euro/dollaro ha infatti sfondato l’importante soglia tecnica e psicologica di 1,30 e si sta ora dirigendo verso quota 1,36. Non vanno poi dimenticate l’estrema volatilità del petrolio e l’incertezza, soprattutto in Europa, sulla politica monetaria.
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Per queste ragioni i money manager, sebbene continuino a preferire l’equity al reddito fisso, consigliano al tempo stesso massima prudenza agli investitori. E soprattutto un’attenta selezione dei titoli (stock picking).
Sono questi i principali temi discussi al Forum organizzato da Borsa&Finanza, al quale hanno partecipato: Corrado Caironi (responsabile investimenti per l’Europa di BlackRock-Merrill Lynch I.M.), Marco Ghilotti (responsabile clienti istituzionali di Schroders in Italia), Vittorio De Luigi (capo economista di Mp Am), Marco Ratti (responsabile investimenti di Caam Sgr), Nicola Trivelli (direttore investimenti di Sella Gestioni e Sella Capital Management), Gianmarco Stanga (responsabile fondi di fondi Mc Gestioni), Giorgio Giovannini (country manager per l’Italia di Henderson Global Investors), Marco Pirondini (direttore globale degli investimenti di Pioneer Investments) e Guido Casella (strategist di Azimut Sgr).
1 Dopo un 2006 all’insegna del rialzo, quali sono le vostre aspettative per il prossimo anno?
Caironi: Quest’anno le Borse hanno visto due movimenti distinti. Da un lato le obbligazioni si sono confrontate con un aumento della volatilità e un rialzo dei tassi di interesse a lungo termine, che hanno generato ritorni negativi: per esempio l’indice Jpm Global Bond perde da gennaio il 3,5 per cento. Dall’altro l’equity è stato protagonista di un buon rialzo, superiore al 10%, con alcune aree ancora in evidenza, come l’Europa e i mercati emergenti, che hanno registrato performance intorno al 15 per cento. Nonostante questi movimenti, i nostri modelli di asset allocation presentano ancora pochi spazi per l’obbligazionario governativo e corporate, destinato a soffrire ulteriori pressioni sui prezzi. Al contrario le prospettive sull’azionario rimangono positive. Anche se alcune variabili saranno determinanti per poter scoprire quanto spazio di crescita abbia ancora il mercato e quanto, invece, abbia già scontato.
Ghilotti: Sono d’accordo. L’equity è ancora favorito rispetto ai bond, ma ci stiamo spostando verso Paesi con un beta più basso. In poche parole stiamo riducendo il peso sugli emergenti a favore di altri mercati come l’Europa. La prudenza, però, è d’obbligo, quindi è importante fare un’attenta valutazione dei singoli titoli. Nonostante il rallentamento dell’economia americana, restiamo positivi sull’azionario Usa, in particolare sulle società coinvolte in operazioni di fusioni e acquisizioni. Certo, il soft landing potrebbe aiutare il reddito fisso. Ma gli attuali livelli, soprattutto del mercato corporate, consigliano ancora di stare lontani dai bond.
De Luigi: È vero, l’America sta rallentando, ma è l’unica importante economia che lo sta facendo. Gli altri Paesi sono in accelerazione. Non ci sono dunque tendenze visibili di flessioni. Bisogna comunque fare attenzione a Paesi come la Germania, dove dal 1° gennaio 2007 scatterà l’aumento dell’Iva dal 16 al 19% (si veda pagina 15, ndr). Quest’aumento potrebbe avere ripercussioni negative sull’economia tedesca per i primi tre mesi del 2007.
Ratti: Anche noi siamo ancora lunghi di equity e corti di bond. Si potrebbe obiettare che l’azionario non può crescere in eterno. Ma dopo aver analizzato le variabili più disparate siamo giunti alla conclusione che non ci sono particolari segnali d’allarme per la crescita dell’economia e delle piazzze finanziarie. E non siamo neanche preoccupati della redditività delle imprese americane. Gli utili sono sui massimi storici, ma siamo convinti che gli attuali livelli di Borsa siano sostenibili. E in un contesto multi-asset continuiamo a essere corti anche sul credito.
Trivelli: Bisogna essere prudenti: veniamo da una lunga fase in cui il mercato sta pagando poco il rischio. Di conseguenza non si possono escludere correzioni. Le incognite che potrebbero imprimere maggiore volatilità ai mercati sono tante: il rallentamento del Pil americano, il cambio euro/dollaro e il petrolio. Il 2007 sarà, dunque, un anno di transizione, improntato alla ricerca di conferme sulle piazze azionarie e di uscita da una fase negativa per l’obbligazionario.
Stanga: Anche noi siamo moderatamente ottimisti sull’equity. Se immaginiamo un prezzo del greggio ai livelli attuali, cioè attorno a 60 dollari al barile, e una politica espansiva da parte della Banca centrale americana, il nostro scenario prevede un rialzo dei listini in linea con la media storica di lungo periodo. Tuttavia, siamo convinti che bisognerebbe ragionare più sui settori che sui Paesi.
Giovannini: Condivido quanto detto finora dai colleghi: ottimismo sì, ma con prudenza. A settembre eravamo molto positivi sulle azioni, anche perché non vedevamo alternative. Di conseguenza, si poteva ipotizzare un’asset allocation con il 50% del portafoglio dedicato all’equity, il 40% alla liquidità e soltanto il 10% ai bond. Oggi lo scenario è leggermente cambiato. È chiaro che le Borse non possono crescere all’infinito. Per il primo trimestre 2007, dunque, abbiamo un atteggiamento più cauto, con un minor peso sulle azioni a favore delle obbligazioni.
Pirondini: È difficile rinunciare alle azioni nel contesto attuale: il quadro macroecnomico è molto positivo. È vero che la crescita economica, soprattutto in Usa, è in frenata ma questo è un bene, perché ha attenuato le tensioni inflazionistiche. Inoltre, siamo convinti che non ci siano valide alternative all’azionario. Comprando obbligazioni oggi, per esempio, c’è il rischio di perdere rendimento. Sull’equity, invece, il ritorno atteso è del 100% superiore a quello di asset class alternative come i bond. A differenza dei miei colleghi, però, sono abbastanza positivo sulle obbligazioni corporate con scadenze non superiori ai 2-3 anni. Meglio, invece, stare alla larga dai titoli di Stato.
Casella: Io mi pongo un interrogativo. Se il tavolo è concorde sul fatto che lo scenario economico non è preoccupante, allora perché tutti hanno deciso di scalare una marcia sull’equity? Tutto questo mi fa pensare a una situazione poco stabile. Personalmente, comunque, sono nemico degli scenari di Borsa elaborati sulla macroeconomia. E sono molto più ottimista dei miei colleghi. L’industria non ha generato grandi performance. Di conseguenza sul mercato non c’è quell’euforia generale che accompagna la fine di una fase di bull-market. Inoltre, sul mercato c’è molta liquidità. Insomma, c’è una domanda latente di azioni che prima o poi verrà fuori e darà ulteriore spinta alle Borse.
2 Ma sui mercati finanziari dei paesi emergenti? Tutti d’accordo nel ridurre l’esposizione?
Caironi: Quello degli emerging market è sicuramente uno dei temi di forte riflessione per l’anno prossimo. Tre sono i punti chiave: crescita economica ancora sostenuta, valutazioni relative e prospettive di crescita degli utili. La minor capacità di crescita dell’economia globale potrebbe condizionare le piazze emergenti in funzione di una minore crescita della domanda internazionale e dei consumi. Ma d’altro canto, un fattore positivo è dato dalla capacità degli emergenti di creare domanda e consumi interni. Bisogna però entrare più nel dettaglio di ogni singola area: dire che l’Asia rimane un ottimo luogo per investire è poco significativo. Vi sono mercati che sono già cresciuti tanto, come l’India, e altri che presentano valutazioni interessanti, come Thailandia e Taiwan. Ma la variabile più importante è il rapporto tra prezzo e utile, cioè il p/e dei singoli titoli, e la solidità dei business aziendali. Restiamo positivi sulle Borse di Cina, Hong Kong e Singapore, ma con un’ottica di lungo periodo, vista la volatilità di questi mercati. Per quanto riguarda l’America Latina il listino brasiliano è quello che preferisco.
Ghilotti: Gli asset manager internazionali tendono a sottopesare questi mercati, sottolineando la correlazione tra rallentamento dell’economia e alleggerimento dell’esposizione su queste aree. Tuttavia, la domanda e le importanti riforme strutturali avviate in molte economie emergenti fanno pensare che l’attuale scenario sia leggermente diverso. Inoltre le valutazioni non sono care, dal momento che il p/e medio delle società presenti sui listini emergenti è 11,5. Ciò significa il 20% di sconto rispetto ai mercati sviluppati. Nell’ambito della asset allocation globale nel 2007, adotteremo un approccio cauto, con una sovraesposizione azionaria, ma un beta basso nel sottostante.
De Luigi: Anche noi pensiamo che sia arrivato il momento di ragionare per singoli Paesi. L’azionario emergente ha beneficiato, specialmente in Asia, della solida crescita macroeconomica e dell’attesa rivalutazione delle monete locali. Condividiamo l’opinione che la Thailandia possa rappresentare una scommessa interessante, soprattutto in considerazione della sottovalutazione del mercato rispetto alla condizione congiunturale, del recupero della stabilità politica e della previsione di un forte afflusso di capitali.
Ratti: Come i colleghi abbiamo cominciato a ridurre, già a partire dall’estate, il beta dei nostri portafogli, uscendo dagli emergenti ed entrando in aree più core.
Trivelli: Sì agli emergenti, ma solo con le obbligazioni perché riteniamo che i livelli di valutazione sui mercati azionari siano a rischio di una correzione. Certo il processo di risanamento dei bilanci pubblici e del sistema economico, grazie al ciclo positivo delle commodity, ha sicuramente rafforzato i fondamentali. Detto questo, nel 2007, sarà decisiva la selezione e non l’investimento sugli indici.
Stanga: Noi, invece, non siamo negativi sull’azionario emergente. Su queste piazze bisognerebbe fare una previsione solo considerando attentamente il ciclo delle commodity. A nostro avviso, nell’immediato futuro, queste continueranno a stabilizzarsi, favorendo i Paesi dell’area emergente asiatica quali India, Cina e Thailandia.
Giovannini: In genere anche noi guardiamo con interesse alle piazze finanziarie dell’area asiatica. Tuttavia, in vista di un possibile rallentamento dell’economia statunitense, che potrebbe impattare in maniera rilevante sull’andamento dei mercati emergenti, suggeriamo di investire in settori esposti più all’andamento della domanda interna che all’export. In particolare, abbiamo un outlook positivo sulla Cina.
Pirondini: Concordo con le opinioni già espresse dai miei colleghi, ovvero di ottimismo, ma selezionando con attenzione i singoli Paesi. Personalmente preferisco l’Asia e parte dell’America Latina.
Casella: Anche per me gli emergenti sono ok, anche se il profilo rischio rendimento è indubbiamente meno efficiente rispetto ai mercati maggiori.
3 Dunque, meglio l’equity dei bond. Ma la vostra view negativa sul mercato obbligazionario è legata alle politiche monetarie di Fed e Bce? Quali sono al riguardo le vostre aspettative?
Caironi: La pressione per il calo della crescita economica in Usa sarà determinante sulle scelte di politica monetaria della Fed. Non sappiamo al momento come Ben Bernanke, numero uno della Banca centrale americana, saprà e dovrà affrontare questo nuovo scenario, tenendo conto della sua attenzione ai dati inflattivi. Per il 2007 rimaniamo in sospeso anche sulla Bce, dopo l’ulteriore aumento di 25 punti base che giovedì 7 dicembre ha portato il costo del denaro di Eurolandia al 3,5 per cento. Secondo la nostra previsione, comunque, a fine 2007 i tassi Fed e Bce resteranno invariati, rispettivamente, al 5,25 e al 3,50 per cento. Le curve dei tassi? Le attendiamo ancora molto piatte, mentre rimaniamo moderatamente positivi sugli high yield.
Ghilotti: Anche per me la Fed ha ormai concluso il ciclo di rialzo dei tassi. Anzi, la decelerazione del ciclo economico e il rallentamento dell’inflazione potrebbero addirittura spingere la Fed a una riduzione dei tassi a partire da luglio 2007, siano al 4,50% per fine anno. Sulla Bce, invece, non mi trovo d’accordo con Caironi. Anzi, sono convinto che la Banca centrale europea continuerà ad aumentare il costo del denaro, fino ad arrivare al picco del 4% in aprile.
De Luigi: È vero, la Bce non si fermerà al 3,5% e già nel primo trimestre 2007 potrebbe portare i tassi al 3,75 per cento. Per cui le pendenza delle principali curve governative è destinata a rimanere negativa. Pertanto, in valuta locale, i mercati obbligazionari governativi e quelli corporate potrebbero offrire ancora apprezzabili ritorni nell’arco di 6-12 mesi. Certo, non sul livello degli azionari.
Trivelli: Mi sembra che fino a ora su una cosa siamo tutti d’accordo. Che le due Banche centrali vivono fasi differenti. Da un lato la Fed mostra un atteggiamento prudente, in attesa di conferme sul lato macroeconomico e sul lato inflazione; per cui riteniamo probabili due tagli dei tassi per il 2007. Dall’altro lato, la Bce si rapporta al mercato ancora in modo duro, confermando di essere in una fase di politica restrittiva e facendo scontare alle quotazioni dei bond almeno altri due rialzi fino al 3,75 per cento. Il mercato obbligazionario sconta esattamente questo e potremmo avere sorprese positive nel caso di un atteggiamento meno rigido. In un contesto come quello attuale, comunque, preferiamo prendere posizioni sulla parte a breve-medio temine della curva, privilegiando emittenti governativi visto il livello medio dei credit spreads ormai ai minimi storici.
Stanga: Per quanto ci riguarda prevediamo per fine 2007 una discesa dei tassi Usa fino al 4,75%, mentre in Europa dovrebbero attestarsi attorno al 3,50 per cento. Sul mercato obbligazionario, molto dipenderà dal livello delle valute. Comunque ci aspettiamo il mantenimento dei profili delle curve attuali. Il nostro posizionamento sui governativi a livello di duration è a benchmark. I corporate invece sono sottopesati.
Giovannini: Noi crediamo che dopo l’ultimo rialzo della Bce si possa assistere a una fase, anche prolungata, di neutralità/stabilità dei tassi. Di conseguenza il mercato obbligazionario potrebbe rimanere fermo sui valori attuali, scarsamente appetibili se paragonati ai ritorni attesi dall’equity.
Casella: Personalmente a fine 2007 vedo i Fed Funds al 4,5% e i tassi Bce al 3,25 per cento. Con riferimento al mercato obbligazionario, credo che l’anno prossimo i bond dovrebbero comportarsi benino, meglio di quest’anno.
4 In vista di una Fed pronta a invertire la rotta, ovvero pronta a sposare una politica monetaria espansiva, quali sono le vostre previsioni sull’azionario Usa? Secondo voi è da preferire all’Europa?
Caironi: Le nostre previsioni sull’America restano improntate su uno scenario ancora positivo. Il mercato azionario oggi presenta valutazioni coerenti con la fase del ciclo economico e storicamente ancora a sconto. Se nel 2007, come ancora può sembrare, le aziende saranno in grado di far crescere gli utili, il mercato, seppur in modo molto selettivo, le seguirà. In base alle valutazioni relative, però, il mercato da preferire rimane l’Europa. All’interno dell’area, comunque, è difficile scegliere un mercato anziché un altro. In generale, l’Italia mantiene ancora buone valutazioni, mentre il mercato svizzero sembra il più caro.
Ghilotti: Noi siamo positivi sia sull’America sia sull’Europa. Negli Usa, l’allentamento delle pressioni inflazionistiche e l’attesa riduzione dei tassi da parte della Fed spingeranno la fiducia degli investitori e apriranno spazio alla crescita delle valutazioni azionarie. Storicamente, inoltre, il mercato azionario statunitense ha sempre performance positive a fronte di uno scenario di rallentamento della crescita economica. Per quanto riguarda l’Europa, invece, se da un lato è vero che il mercato dell’equity ha un beta elevato, dall’altro non si possono negare le indicazioni positive provenienti dal fronte macro e microeconomico, con una robusta crescita degli utili robusta e valutazioni ragionevoli.
De Luigi: A differenza dei miei colleghi, io non ho una view molto positiva sull’America. Considerato che forse è ancora prematuro attendersi un ribasso dei Fed Funds nel primo trimestre 2007, i rendimenti attesi per l’azionario statunitense sono circa la metà del 2006. Sono invece più ottimista sull’area euro, dove le prospettive di un prosieguo del trend rialzista sono legate alla elevata liquidità, all’attività di M&A (fusioni e acquisizioni, ndr) e alla tenuta della propensione al rischio degli investitori. In particolare, reputo molto attraente il mercato inglese, sia per la maggiore connotazione difensiva sia per le buone condizioni macroeconomiche e per le prospettive di calo dei tassi di interesse.
Ratti: Io sono invece moderatamente positivo sia sull’Europa sia sull’America. Soprattutto in un’ottica di asset allocation efficiente. Come già detto in precedenza, infatti, ritengo che da oggi in poi sia fondamentale avere un approccio molto prudente verso il mercato azionario. Come? Uscendo dai Paesi più rischiosi, come quelli emergenti, e privilegiando le aree core: America e Europa.
Trivelli: Tra Europa e America, invece, io non ho alcun dubbio. Gli Stati Uniti sono da preferire. La prospettiva di un soft landing abbinato a una Fed disponibile a tagliare i tassi è da considerare un fattore positivo per il 2007. Inoltre, l’America potrà beneficiare anche per l’anno prossimo di un dollaro strutturalmente debole. Sono meno ottimista sull’Europa. Se l’euro dovesse mantenersi sui livelli, l’impatto sugli utili delle società in cui la componente export ha un forte peso si farà sentire. Fra i Paesi da sottopesare per il 2007 abbiamo la Francia e la Spagna: nel primo caso i dati macro lasciano intendere una certa debolezza nei consumi e quindi nell’economia del Paese; nel secondo, invece, le vicende di M&A hanno contribuito ad accrescere le valutazioni di tutti i settori. La view è più positiva per Gran Bretagna, Grecia e Italia.
Casella: Non posso che associarmi all’opinione di Trivelli. Considerata la debolezza del dollaro, ci sono buone prospettive per l’azionario americano. L’economia europea, invece, rimarrà discreta e le fusioni e ristrutturazioni continueranno. A livello di singoli Paesi anche io sono pessimista sulla Spagna.
Stanga: Non sono tanto d’accordo sulla Spagna. Credo che debba essere sovrappesata come il Belgio, la Germania e la Svizzera. Anche io, invece, penso che la Francia, al pari delle piazze nordiche, sia un Paese da evitare nel 2007.
Giovannini: La nostra previsione è che il mercato statunitense possa continuare a dare buoni ritorni. In Europa prevediamo che la crescita economica possa mantenersi sostenuta. Ma piuttosto che guardare agli indici di Borsa la nostra strategia punta all’analisi e alla selezione delle singole azioni.
Pirondini: Mi ripeto. In questo momento sono convinto che non si possa rinunciare all’equity. Soprattutto a quello americano, che è un mercato globale. Basti pensare che le società incluse nell’indice S&P500 realizzano il 40% del proprio fatturato fuori dagli Usa. Per quanto riguarda l’Europa, invece, l’opportunità migliore è sicuramente rappresentata dalla Borsa del Regno Unito.
5 Tutti positivi sull’America, dunque. A una condizione. Che il dollaro resti debole contro l’euro. Ma qual è il livello considerato critico?
Caironi: Non abbiamo un’idea chiara sul dollaro. Da gestori pensiamo che a breve i fondamentali giochino ancora a sfavore della valuta statunitense. L’unica considerazione che posso fare è che manteniamo ormai immutata da inizio anno una politica di copertura del cambio.
Ghilotti: Anche per noi è difficile dare una risposta a questa domanda. In questo momento, comunque, siamo corti di dollaro e riteniamo che sia ragionevole aspettarsi a inizio 2007 un ulteriore indebolimento della valuta americana nei confronti sia dell’euro sia dello yen.
De Luigi: Assolutamente d’accordo. L’attuale tendenza al deprezzamento del dollaro appare dovuta ai flussi e come tale non è di facile previsione. E solitamente, le tendenze guidate dai flussi hanno una durata e un’ampiezza non trascurabili.
Stanga: È sempre stato difficile fare previsioni sui cambi. A nostro avviso, comunque, si potrebbe rivedere il livello di 1,36, ma non nel breve periodo.
Trivelli: Potrebbe succedere. Sì, anche noi crediamo che il trend di indebolimento del dollaro continuerà fino a testare la soglia tecnica di 1,36, livello a partire dal quale potrebbe esserci un riposizionamento.
Giovannini: Le nostre previsioni indicano un cambio euro/dollaro compreso tra 1,25 e 1,35. Non è escluso che il cambio arrivi a testare l’area 1,40. Ma se la moneta europea raggiungerà quota 1,45-1,50 ci saranno grossi problemi, non solo per l’America, ma anche per tutte le economie mondiali.
Casella: Mi associo ai miei colleghi. Il dollaro continuerà a essere debole. Tuttavia non credo che ci siano i presupposti perché possa superare di molto gli attuali livelli, se non per brevi periodi.
6 Parliamo ora dei settori, quali sono da privilegiare e quali da sottopesare?
Caironi: La nostra idea è che il ciclo economico rientri in una fase sostenibile e ciò ci porta a considerare ancora con favore le materie prime e in particolare i metalli. Un altro settore su cui manteniamo un buon orientamento è quello dell’energia. Oltre al comparto petrolio, molto volatile, abbiamo iniziato a diversificare gli investimenti verso aziende coinvolte nelle energie alternative: sole, vento, idrogeno, ma anche gas naturale e carbone pulito. Anche l’healthcare potrebbe essere favorito in tutte le sue sfaccettature: dal pharma alle biotecnologie, fino alla ricerca pura e alla diagnostica.
Stanga: Io partirei, intanto, dalla considerazione che è meglio avere in portafoglio le large cap piuttosto che le small cap. Detto questo, i settori che privilegio sono l’immobiliare, le utility e i finanziari.
Trivelli: Non sono d’accordo con Stanga. Noi siamo, invece, molto cauti sulle utility e sulle banche. Credo, infatti, che le vicende di M&A dei mesi scorsi abbiano portato il mercato a sopravvalutare i titoli di questi settori, su cui ci aspettiamo prese di beneficio. Sui titoli assicurativi, invece, riteniamo che il risiko non sia ancora concluso. Come Caironi sono a favore del pharma, mentre nell’hi-tech sono positivo solo sui semiconduttori.
De Luigi: Io mi trovo d’accordo in parte con Stanga e in parte con Trivelli. Mi spiego meglio; secondo me le utility hanno ancora spazio per correre, mentre sono scettico sui titoli oil. Sul fronte finanziario privilegio solo le assicurazioni.
7 Un’ultima domanda. Contrariamente alle previsioni del mondo dei gestori, quest’anno il Giappone è rimasto al palo. Come mai? E cosa vi aspettate per il 2007?
Caironi: È vero. Il Giappone è stata la grande delusione del 2006 per motivi di natura economica e politica. Sul fronte macro sembrava che il Sol Levante fosse uscito dalla deflazione e invece ancora non è così. Inoltre l’uscita di scena del primo ministro, Junichiro Koizumi, e l’ingresso del nuovo premier Shinzo Abe ha portato a un rallentamento delle riforme in campo economico. Ora, per una effettiva ripresa del Paese asiatico, è necessario che Shinzo Abe acceleri sul risanamento dei conti pubblici e sul fronte delle privatizzazioni.
De Luigi: In questo momento noi siamo positivi sul Giappone, ma ci stiamo lentamente spostando verso la neutralità, perché lo scenario macro è in frenata.
Ratti: Personalmente sono ottimista sul Giappone e credo che lo yen, oggi estremamente sottovalutato, possa l’anno prossimo dare una mano all’economia e alle Borse del Sol Levante.
Trivelli: Mi associo a Ratti. E sono convinto che, in un contesto meno positivo per le altre Borse, il Giappone possa essere la vera sorpresa del 2007. Tra due o tre mesi lo scopriremo.
Stanga: Il Giappone per noi è un vero rebus. Ed è per questo che fino a poco tempo fa siamo rimasti fuori dal Paese. Poi abbiamo visto cambiare qualcosa, con le commodity che hanno permesso una rivalutazione non solo degli emergenti asiatici, ma anche del Giappone.
Casella: Io vorrei concludere con una polemica. Mi chiedo: perché gli investitori sono così interessati al Giappone? È un mercato piccolo, lontano e quindi problematico da seguire, nonché di difficile lettura da un punto di vista sia economico sia politico. Secondo me è molto meglio avvicinarsi al mercato americano o a quello europeo.
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