Alfano indossa i panni del domatore: davanti ai notabili del Pdl (ore 10, Palazzo Grazioli) tenterà di «addomesticare» Berlusconi. Cioè proverà a impedire che il vecchio leone dia zampate al partito smembrandolo in un arcobaleno di liste le più diverse e fantasiose. Nello stesso tempo però Angelino non vuole fare a meno del sostegno di Silvio, che per quanto spelacchiato sposta ancora un bel po’ di voti; dunque un osso dovrà gettarglielo, magari una-due liste civiche sponsorizzate da Arcore potranno essere tollerate, purché il Cavaliere continui a puntare sul Pdl invece di «spacchettarlo»…
Rullo di tamburi, mediazione ad alto rischio in un partito nevrastenico, dove il presidente del Senato Schifani interviene sul «Foglio» per dire basta ai «grillismi» di destra e la Santanché lo rimbecca («io sto con il popolo»), non prima di averne informato il Grande Capo.
La confusione è massima. In certi momenti sembra che il bersaglio sia Monti, che il Pdl voglia ricompattarsi proclamando stamane un appoggio esterno, cioè basta votare i provvedimenti a scatola chiusa; salvo poi scoprire che i «crisaioli» sono alcuni ex di An, Matteoli in testa, mentre Berlusconi di far saltare il governo non ci pensa nemmeno, «tranne che Monti non regali agli italiani qualche altra Imu». La vera causa di eccitazione è la prospettiva che il Fondatore voglia rifondare tutto «ex novo» con altre facce più giovani al posto delle cariatidi.
Lo strumento per fare piazza pulita sarebbero le liste civiche. Una di destra senza compromessi, capitanata dalla Santanché; una «rivoluzionaria» guidata da Sgarbi; una terza messa in piedi da Bertolaso, ex Protezione civile; una quarta della Brambilla per gli animalisti, con cani e gatti nel simbolo. Allo studio una lista di «under 45». E i seniores? E tutti gli attuali onorevoli? In altre due liste, gli ex di An e gli ex di Forza Italia…
Si è saputo in giro, la maionese è impazzita, Schifani ha scritto la lettera al giornale di Ferrara per chiedere chiarezza, decine di parlamentari gli hanno fatto pubblicamente le congratulazioni, Alfano in primis («parole serie, forti e talvolta dolorose, ma vere»). Si vocifera di una discussione molto aspra tra il giovane segretario e l’ex padre-padrone.
Falso però che siano volate parole grosse. «Presidente, in questa confusione non si può andare avanti», è stato l’argomento accorato di Angelino. L’intero gruppo dei colonnelli, chi più chi meno, lo spinge a darsi coraggio, a pretendere che il suo ruolo venga rispettato. C’è chi immagina delle primarie interne, chi un congresso nazionale (più probabile una riunione di Direzione) Sintetizza Cicchitto: «Il Pdl deve rilanciarsi sotto la guida di Alfano e con il contributo di Berlusconi…». Al volante ci deve essere uno solo, il Cavaliere si accomodi nel posto della suocera.
Qualche bello spirito ci vede un colpo di Stato, tipo Paesi latino-americani: «L’uscita di Schifani è paragonabile a un’”intentona”, con i generali che si pronunciano; la rivolta dei notabili somiglia a un “quartelazo”, quando si sollevano le caserme. Può finire in un “golpetillo”, se tutto fallisce, oppure in un “golpetazo” se Berlusconi scivola ai margini». Fini osserva da fuori interessatissimo. Bocchino e perfino Briguglio plaudono a Schifani, se il presunto golpe alfaniano riuscisse chissà, allora magari si potrebbe tornare a fare business insieme col Pdl…
Il Pdl non si spacchetta in tante liste civiche ma fa quadrato attorno al segretario Angelino Alfano, candidato a palazzo Chigi nelle primarie per la premiership «aperte a tutti i cittadini» che si faranno in autunno. L’ufficio di presidenza riunito con Silvio Berlusconi a palazzo Grazioli «fa piazza pulita», come dice chi vi ha partecipato, di ogni ipotesi di frammentazione.
Al termine di oltre quattro ore di conclave, il documento finale annuncia la disponibilità del partito «ove si determinassero le condizioni per un’ampia alleanza di tutte le forze politiche di centro destra, a partecipare a primarie aperte a tutta la coalizione per l’individuazione del candidato premier della coalizione stessa». Sul versante dell’esecutivo guidato da Mario Monti, si riafferma lealtà ma anche la contrarietà a votare altre materie contrarie al Paese e agli interessi della famiglia.
Un documento, sottolinea il segretario Alfano nel corso della riunione per andare avanti con forza e affermare il fatto che nel nostro Paese ci sono «due grandi aree storiche» e «nella nostra il protagonista è Berlusconi». E lui, il Cavaliere, mostra da subito di voler mantenere unito il partito, spiegando che sono infondate le notizie sulla sua intenzione di fondare una nuova ’cosà, anche se mostra scarsa propensione per gli ex alleati: per esaltare il valore della compattezza richiama l’esperienza di chi (Fini e Casini non sono citati ma il riferimento sembra evidente) è uscito dalla casa madre del centrodestra, e si sarebbe perso nel nulla.
Il vertice comincia attorno alle 10, dopo giorni di polemiche sulla direzione di marcia del partito, alle quali riesce in qualche modo a dare uno sbocco politico l’intervento su “Il Foglio” del presidente del Senato Renato Schifani (non a caso “grande elettore” di Angelino Alfano). Una lettera che di per sè non rassicura l’area ex An del partito, che ancora in mattinata, con l’intervista di Giorgia Meloni su ’Il Messaggero” dà l’aut aut: o si cambia o ci riorganizziamo per conto nostro.
E i messaggi alla fine arrivano. Da un lato lo stesso Berlusconi ammette che sono i giornali più vicini al Pdl quelli che a volte fanno più male al partito. Dall’altro, nel corso di un dibattito che tutti definiscono franco (ossia senza peli sulla lingua) si mette da parte l’eventualità della dissoluzione in tante liste civiche. Alfano arriva a citare Frankiln Delano Roosevelt: «Questo non è il tempo della paura ma del coraggio e delle scelte coraggiose». Insomma, mettersi al centro dell’arena e dare battaglia, uniti.
Daniela Santanchè non si mostra delusa più di tanto, ma all’uscita, a chi le domanda se si candiderà alla premiership, risponde sibillina: «Per ora è presto, comunque non andrò in vacanza». Il percorso individuato è quello delle primarie aperte di coalizione, se la coalizione dovesse concretizzarsi. «Il nostro candidato è il segretario Alfano» assicura il coordinatore Ignazio La Russa, che replica così alla domanda se il disagio ex An sia superato: «Non si tratta di disagio ma è chiaro che chi ha una sensibilità derivante dalla propria esperienza di destra sa che la scelta più importante è quella di opporsi all’immobilismo e puntare sulla mobilitazione popolare».
Una mobilitazione che parta, però, da un partito che non rinnega se stesso disperdendosi in tante micro-identità. Anche Claudio Scajola condivide questo approccio: la priorità è partire da un Pdl forte per il rilancio, ha sottolineato l’ex ministro allo Sviluppo, spiegando che le liste d’appoggio andranno fatte, come le abbiamo sempre favorite in tutte le campagne elettorali, prima bisogna pensare «alla nostra identità», evitando il rischio di una «balcanizzazione del partito».
Sul tema, il capogruppo Pdl al Senato ha rotto il ghiaccio nello studio-residenza dell’ex premier con una battuta: «Io sono di destra, ho un cane e più di 45 anni, in quale lista devo andare?». Poi, a cose fatte, davanti alle telecamere, si fa serio: «Con la scelta delle primarie «il Pdl ha ribadito di voler essere in sintonia con la volontà popolare e ha detto no ad ogni ipotesi di scomposizione o frammentazione. Altra cosa è se qualcuno decidesse di scendere in campo con un proprio partito».
Ora la sfida torna sull’azione di governo, rispetto al quale il Pdl vuole riuscire a imprimere una marcia più improntata alla crescita, orientata verso famiglie e imprese. E non ci sono sconti in vista, a cominciare dalla Rai: «La legge -ricorda Gasparri- porta il mio nome e la conosco bene: sul presidente il premier farà le sue scelte, ma sappia Monti che in Vigilanza ci avvarremo del quorum dei due terzi. Quindi, se il nome ci va bene avrà l’ok, altrimenti no». Ce n’è anche per il Pd: cosa farà al Senato sul semi-presidenzialismo proposto dal Pdl? Gasparri pone la domanda, facendo anche capire che se il partito guidato da Bersani confermasse il no, sarebbe come affondare «la vera norma anti-casta».
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