Prende piede l’ipotesi di potenziare il “contratto di espansione” anche alle aziende con meno di 250 dipendenti per permettere la possibilità di andare in pensione a 62 anni. Una mossa che potrebbe favorire le imprese nei processi di ristrutturazione e il ricambio generazionale, grazie al meccanismo che permette di mandare in pensione fino a 5 anni prima i lavoratori anziani per assumere giovani.
Lo scrive il Corriere, ricordando che lo scorso 20 aprile il leader della Confindustria, Carlo Bonomi, nel vertice con Mario Draghi, ha proposto di “ridurre la soglia d’accesso al contratto di espansione portandola a 50 dipendenti”.
Pensione a 62 anni: contratto di espansione, cosa è
Introdotto nel 2019, il contratto di espansione prevedere la possibilità, tramite adesione volontaria, di anticipare l’uscita dal mondo del lavoro a coloro ai quali mancano cinque anni per maturare i requisiti della pensione di vecchiaia (67 anni) o di anzianità. Contestualmente , si prevede l’assunzioni di giovani e l’adozione di piani di formazione per i lavoratori impiegati in azienda.
Il lavoratore percepisce una pensione pari a quella maturata al momento dell’uscita. Il costo, per la durata dell’anticipo, è a carico dell’azienda (che deve anche fornire una fidejussione bancaria all’Inps), al netto del valore della Naspi spettante a chi va in prepensionamento.
Contratto di espansione: verso allargamento delle maglie
La manovra 2021 ha previsto la possibilità di attivarlo per le aziende da 250 dipendenti. Come dicevamo, si starebbe ragionando su ulteriori modifiche per renderlo più appetibile, magari abbassando la soglia dimensionale a 150 o 100 addetti.
Un’operazione che, secondo le prime stime del governo, costerebbe tra i 600 e gli 800 milioni di euro. Per ora, come ricorda il Corriere, il contratto d’espansione è stato utilizzato solo da grandi aziende come Tim, Eni, Ericsson.
In aumento platea potenzialmente coinvolta