Il 97% degli italiani pensa che sia necessario integrare la pensione pubblica e il 65% è convinto che la pensione pubblica da sola non sarà sufficiente per vivere dignitosamente dopo la pensione. In aggiunta, c’è poi il timore, sempre più fondato per le fasce più giovani, che l’età pensionabile prevista continui ad aumentare ben oltre i 70 anni.
È quanto emerge da uno studio commissionato da Trade Republic, broker online tedesco con sede a Berlino, a Michele Raitano (Direttore del Dipartimento di Economia e Diritto) e Marco Di Pietro (Professore Associato di Politica Economica) dell’Università La Sapienza, dal quale emerge, tra i pochi risvolti positivi, che il 18% degli italiani ritiene sia meglio integrare la propria pensione pubblica investendo privatamente in strumenti finanziari.
Propensione all’investimento più diffuso tra i giovani
Entrando nel dettaglio, la ricerca sottolinea, inoltre, come la maggiore propensione all’investimento e in particolare all’investimento in ETF sia concentrata soprattutto nelle giovani generazioni: gli intervistati di età inferiore ai 34 anni hanno infatti la più alta probabilità di combinare un fondo pensione privato con l’investimento in ETF (44%) e la più alta probabilità di scegliere un ETF invece di un fondo pensione (18%).
E a proposito di ETF, l’analisi mette in evidenza come i piani di accumulo in ETF azionari globali siano stati storicamente un potente complemento ai fondi pensione per investire a lungo termine, generando rendimenti annui superiori di 1,8 punti percentuali in 20 anni rispetto alla media dei fondi pensione.
“Nel dettaglio, guardando alla performance storica, gli ETF azionari globali – si legge nella ricerca – hanno performato meglio della media dei fondi pensione, con un rendimento del 6% all’anno contro il 4,2% del fondo pensione medio (ovvero il 43% in più ogni anno), al netto dei costi di gestione. I rendimenti più elevati in assoluto sono raggiunti dagli individui che reinvestono la liquidità extra derivante dalle deduzioni fiscali dei fondi pensione in piani di accumulo ETF azionari globali, combinando efficacemente le due forme di investimento. Il divario pensionistico riguarda tutti noi, con costi del sistema pensionistico pubblico che oggi ammontano al 16% del PIL, e destinati a crescere sempre di più”.
Le fasce a rischio
Lo studio evidenzia inoltre gli strati della società più a rischio di trovarsi in condizioni finanziarie sfavorevoli dopo il pensionamento. Ovvero il 68% di chi si trova senza un impiego e il 50% di coloro che attualmente guadagnano meno di 1000 euro al mese non ha alcuna forma di investimento o previdenza complementare.
“L’aumento dell’età pensionabile ha spiazzato la previdenza privata”, commenta Michele Raitano, co-autore della ricerca, che aggiunge: “Alle età pensionabili attuali chi avrà carriere stabili riceverà una pensione pubblica adeguata. Per loro la motivazione a investire nella previdenza integrativa dipende dal contributo datoriale e, soprattutto, dai consistenti vantaggi fiscali, generalmente regressivi. Chi avrebbe invece bisogno dell’integrazione – precari e working poor – non ha risorse adeguate e, dunque, non partecipa alla previdenza integrativa e non beneficia degli sgravi fiscali”.