E’ noto da tempo che, sull’equilibrio dei conti dell’Inps, a gravare siano soprattutto le prestazioni assistenziali, ovvero quelle erogate a soggetti meritevoli di particolare tutela. Nell’ultimo rapporto redatto da Itinerari Previdenziali viene fatta una radiografia degli assegni pensionistici in Italia, mettendo in evidenza la consistenza numerica dei vari assegni assistenziali.
In Italia ci sono, in tutto, 16 milioni di pensionati. Fra questi circa 6,4 milioni (il 40% del totale) percepisce una pensione sotto i mille euro. In questa fascia, avverte Itinerari Previdenziali, sono pochi i lavoratori che hanno conquistato la pensione grazie ai contributi pagati. Tali trattamenti che non raggiungono i mille euro mensili sono “quasi tutti con pensioni in tutto o in parte assistenziali ossia senza contribuzione (invalidità civile, assegni sociali, di guerra o con maggiorazioni, somme aggiuntive e 14ma mensilità) o pensioni integrate al minimo o con ‘la maggiorazione al milione Berlusconi’, che nel 2018 vale ben 644 euro al mese”, si legge nello studio, “si tratta quindi di soggetti che nella loro vita attiva hanno versato pochi o zero contributi (e parallelamente poche o nessuna imposta) e che sono a carico della collettività”. Dal grafico in basso, infatti, è possibile verificare che la somma delle pensioni indennitarie, assistenziali e di invalidità raggiunge un totale superiore ai 6 milioni di assegni.
E’ bene, però, sottolineare che in termini di importi erogati, il peso di queste pensioni sul bilancio complessivo è decisamente inferiore al 40%.
Nel 2018 le pensioni categorizzate come assistenziali (pensioni di guerra, pensioni sociali e pensioni di invalidità civile) valevano l’8,1% delle prestazioni economiche complessive del sistema previdenziale (23,721 miliardi). Se a queste si aggiungono le pensioni indennitarie e le pensioni d’invalidità si arriva intorno al 14%.
Al contrario, le pensioni di vecchiaia, quelle maturate al termine del proprio percorso lavorativo, costituiscono il 71,2% delle erogazioni previdenziali pur rappresentando solo il 52% in rapporto al numero delle prestazioni.
Assumendo che i controlli siano adeguati per il riconoscimento dell’invalidità (e degli eventuali superstiti alla Seconda Guerra Mondiale) resta problematico il trattamento per i percettori di pensione sociale. A questi ultimi è richiesto semplicemente di certificare, al raggiungimento dei requisiti d’età, l’insufficienza dei redditi al momento della domanda. Stiamo parlando di oltre 800mila persone (pari al 5,27% dei pensionati totali).
A questi soggetti sconosciuti al fisco fino al momento della domanda di pensione sociale non viene richiesto di spiegare come si sia stati in grado di mantenersi nel passato. Il presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, ha sollevato il problema nei seguenti termini: “Uno Stato di diritto aiuta i più deboli, ma in altri Paesi europei dopo una certa età (33/36 anni) si chiede al soggetto sconosciuto di che cosa vive, prendendo i relativi provvedimenti come succede in Svizzera e Germania. Da noi no.
E così senza fare troppe domande, a presentazione di un Isee che può essere discutibili, paghiamo a piè di lista, senza discutere e anzi, qualcuno propone pure di aumentarle queste prestazioni assistenziali a danno delle pensioni più alte”.