Nuovo duro colpo per la sostenibilità dei sistemi pensionistici. Già sotto pressione a causa di aspetti demografici, quali le sempre più lunghe aspettative di vita, e sistemici, il COVID-19 ha aumentato il livello di insicurezza a causa della riduzione dei contributi, dei minori rendimenti degli investimenti e del debito pubblico più elevato.
È quanto mette in evidenza il dodicesimo indice annuale Mercer, condotto quest’anno con CFA Institute, che mette a confronto 39 sistemi pensionistici su scala internazionale, per una copertura pari a quasi due terzi della popolazione mondiale.
È importante ricordare che l’indice – che sotto il termine “sistema pensionistico” intende la somma di previdenza pubblica, complementare e del risparmio previdenziale, anche attraverso strumenti assicurativi e di risparmio gestito – prende in considerazione i sistemi previdenziali in senso ampio come un insieme di strumenti che garantiscono la gestione finanziaria dell’uscita dalla vita lavorativa dei singoli.
I Paesi Bassi e la Danimarca mantengono rispettivamente il primo e il secondo posto. Israele, new-entry nella ricerca sostituisce l’Australia al terzo posto mentre l’Italia è dal ventinovesimo posto si dimostra ancora debole in materia di sostenibilità.
“La recessione economica causata dalla crisi sanitaria globale ha portato a minori contributi pensionistici, minori rendimenti degli investimenti e maggiore debito pubblico nella maggior parte dei paesi. Inevitabilmente, ciò avrà un impatto sulle pensioni future. Alcuni saranno chiamati a lavorare più a lungo; altri dovranno accontentarsi di un tenore di vita inferiore in pensione” ha spiegato Marco Valerio Morelli, Amministratore Delegato di Mercer Italia, sintetizza in questo modo.
“Anche prima di COVID-19, il problema del bilanciamento tra investimenti implementati e rendimenti attesi per la platea dei beneficiari era cruciale per molti sistemi pensionistici”, ha ricordato Luca De Biasi, Wealth Business Leader Mercer Italia. Molti governi in tutto il mondo hanno risposto alla pandemia con uno stimolo fiscale sostanziale e le banche centrali hanno adottato politiche monetarie non convenzionali e particolarmente accomodanti. Adesso l’era dei tassi bassi, dei premi al rischio molto compressi pone delle sfide importanti nell’ambito della sostenibilità delle pensioni future, il tutto aggravato dalla crisi economica globale generata dalla pandemia. Elementi che vanno aggiungendosi alle normali sfide della gestione del rischio in un portafoglio pensionistico. Penso per l’Italia ai Fondi pensione ed alle Casse di previdenza”.
Italia, indietro per sostenibilità
Tornando alla classifica, i Paesi Bassi hanno registrato il valore più alto (82,6) e hanno mantenuto la prima posizione nella classifica generale, nonostante le significative riforme pensionistiche in atto; la Tailandia ha fatto registrare il valore dell’indice più basso (40,8).
Per ogni macro-area, i punteggi più alti sono stati attribuiti ai Paesi Bassi per l’adeguatezza (81,5), alla Danimarca per la sostenibilità (82,6) e alla Finlandia per l’integrità (93,5). I punteggi più bassi nelle 3 macro-aree sono stati registrati il Messico per l’adeguatezza (36,5), l’Italia ancora una volta per la sostenibilità (18,8) e le Filippine per l’integrità (34,8).
La macro-area che misura la sostenibilità continua a rappresentare il punto debole in molti sistemi. Il punteggio medio di sostenibilità è sceso di 1,2 punti indice nel 2020 a causa della crescita economica negativa registrata nella maggior parte delle economie a causa del COVID-19.
Il valore di Adeguatezza è superiore alla media, con un punteggio di 66.7 (contro 60.9 punti di media) e rende l’Italia assimilabile alla Svezia (65.4 punti) e all’Austria (65.2 punti).
Anche il valore dell’Integrità, di 74.4 punti, supera la media pari a 71.3 punti, ancora una volta rendendolo vicino al valore austriaco di 74.6 punti, e a quello dell’Irlanda – 76.5 punti.
Diverso invece il risultato ottenuto nell’area delle Sostenibilità, dove l’Italia raggiunge 18.8 punti a confronto con una media di 50 punti, ottenendo così l’ultimo posto in classifica in questa area – una posizione a fondo scala che l’Italia ricopre sin dall’ingresso nella classifica nel 2014. Quest’area, come detto, misura la capacità del sistema pensionistico di continuare a garantire gli attuali livelli di erogazione nel futuro, ed in tal senso mette in evidenza la debolezza di numerosi sistemi pensionistici. Assimilabili alla situazione italiana in questa area ci sono Austria con 22.1 punti, Spagna (27.5 punti), Turchia (24.9 punti) e Brasile (22.3 punti).
Rispetto all’Italia il Report suggerisce anche quest’anno di:
- Continuare ad aumentare la copertura del sistema pensionistico privato, sia in termini di partecipazione che di asset investiti a disposizione per pagare le prestazioni nel futuro, per garantire un elevato tasso di sostituzione tra reddito da lavoro e reddito da pensione;
- Continuare a far crescere il tasso di partecipazione al mondo del lavoro della popolazione di tutte le età, ed ampliando la partecipazione in età matura;
- Limitare l’accesso a benefit di natura previdenziale prima del pensionamento;
- Ridurre l’ammontare del debito pubblico, per il suo impatto diretto sul primo pilastro pensionistico»
“L’attuazione di riforme nell’ambito più vasto dei sistemi pensionistici rimane un tema chiave, e non solo in Italia. La curva demografica di molti paesi occidentali, tra cui l’Italia, impatterà altresì sulla spesa per il welfare, con impatti diretti sui sistemi previdenziale e sanitario.
Non prendere in considerazione il segnale di attenzione che dal 2014 il Report ci invia sarebbe un errore: la vera area di miglioramento, per l’Italia, ha a che fare con la mancanza di un approccio multi-pilastro al sistema pensionistico. In una prospettiva di medio-lungo periodo, è arrivato il momento di cercare un nuovo equilibrio, sia per le generazioni anziane, che potrebbero ancora voler contribuire al benessere più ampio del sistema Paese, sia per le giovani generazioni, che rischiano di dover pagare un conto insopportabile. In Italia infatti il tasso di partecipazione alla forza lavoro dei lavoratori più anziani (età 55-64) continua ad essere uno dei più bassi dei 39 paesi, mentre avere a disposizione una componente di lavoratori esperta e preparata è sicuramente un vantaggio competitivo che le aziende dovranno cominciare a considerare.
Essere “age ready” sarà la nuova sfida per gli individui e presupporrà un cambiamento nel modello. Rispetto ad un modello che vede i tempi dello studio, del lavoro e della pensione come nettamente distaccati, sarà necessario considerare momenti di ibridazione e transizione, che garantiranno la sostenibilità del sistema pensionistico a livello individuale e collettivo – riflette Morelli. In un Paese come il nostro, dove siamo abituati all’idea della pensione pubblica come unica fonte di sostentamento per una vecchiaia serena, è sicuramente necessario un cambiamento di paradigma”.
“Sebbene l’adeguatezza delle pensioni erogate oggi in Italia sia più che soddisfacente, il valore della macro area sostenibilità ci dice che questo in futuro potrebbe non essere più vero. Le ragioni sono da ricercarsi nella minima adesione a piani pensionistici privati e nel conseguente livello di attività delle pensioni private, rispetto ad altre economie di Paesi sviluppati” conclude De Biasi, invitando singoli e collettività a porre questo tema sotto la lente, per una riflessione pacata con prospettive di lungo termine.
Come ridurre la pressione sui sistemi pensionistici
Il report incoraggia i singoli Paesi a favorire un approccio strutturato rispetto al risparmio pensionistico, a partire dall’adesione individuale e collettiva a fondi pensione, ed a riflettere sull’età di pensionamento anche in relazione alle più lunghe aspettative di vita.
“È evidente che a maggior ragione ora diventa fondamentale migliorare la governance a livello di fondi pensione, aumentare la trasparenza con l’obiettivo ultimo di migliorare la fiducia degli iscritti e contestualmente attrarne di nuovi, ed in tale ottica diventa fondamentale continuare a sviluppare una governance che considera anche la tematica ESG, elemento che inizia ad essere catturato nell’indice della sustainability”, ha ricordato Luca De Biasi, Wealth Business Leader Mercer Italia.
La ricerca
Il confronto, iniziato 12 anni fa e che tutt’oggi prosegue, aggrega i dati basati su oltre 40 indicatori, relativi a diversi Paesi, suddivisi in tre macro-aree: Adeguatezza, Sostenibilità e Integrità.
Con adeguatezza si intende il livello delle prestazioni erogate per la media dei lavoratori. All’interno della macro-area sostenibilitàsi trovano indicatori quali la percentuale di adesione a fondi di previdenza complementare e a fondi pensione, aspetti demografici ed alcune evidenze macroeconomiche come contribuzione e debito pubblico.
La macro-area integrità, infine, considera diversi elementi di normativa e governance del rischio pensionistico, così come il livello di fiducia che i cittadini di ogni paese hanno nel loro sistema. Il valore dell’indice per ciascuno dei sistemi pensionistici presi in esame rappresenta la media ponderata di queste tre macro-aree; le ponderazioni utilizzate sono pari al 40% per la macro-area “adeguatezza”, al 35% per la macro-area “sostenibilità” e al 25% per la macro-area “integrità”.
Il valore dell’indice rappresenta quindi una media ponderata dei punteggi in queste tre diverse macro-aree. La metodologia è rimasta pressoché invariata nelle successive edizioni, così come l’assunto che per garantire la tenuta della previdenza di un Paese, il reddito pensionistico deve essere sostenuto da “pilastri” pubblici e privati. Nella ricerca vengono definiti e valorizzati, in ogni sistema previdenziale, il “pilastro 0”, ovvero la previdenza minima garantita dallo Stato; il “pilastro 1”, ovvero la previdenza pubblica obbligatoria; il “pilastro 2”, ovvero la previdenza complementare collettiva; il “pilastro 3”, ovvero la previdenza complementare individuale e il “pilastro 4” ovvero i risparmi e altre entrate delle famiglie.