Il dossier pensioni rischia di mettere sotto pressione il governo. Se ne parla da settimane con i sindacati ma non è stata ancora stata presa una decisione definitiva.
Il governo è chiamato a mettere a punto una riforma, che dovrebbe arrivare insieme alla legge di Bilancio, che eviti lo scalone di cinque anni, che si verrebbe a creare tra il 31 dicembre 2021, ovvero l’ultimo giorno in cui sarà in vigore Quota 100 (che non verrà riconfermata) e il giorno successivo, quando con gli stessi requisiti si potrebbe uscire dal lavoro solo cinque anni più tardi.
In pratica, in assenza di un’alternativa, tornerebbero in campo i requisiti di uscita della riforma Fornero. Il significherebbe fino a cinque anni di lavoro in più per la pensione di vecchiaia a 67 anni o l’uscita con la pensione anticipata con circa 43 anni di contributi.
Dopo Quota 100 potesi Quota 98
Le basi del nuovo assetto previdenziale, che dovrà entrare in vigore il 1° gennaio 2022, dopo la “scadenza” di Quota 100 potrebbero prevedere l’introduzione di Quota 98.
Questa ipotesi prevede la possibilità di consentire ad una prima fetta di categorie di lavoratori, a cominciare da quelli che svolgono attività gravose o comunque usuranti, di andare in pensione già a 62 anni con un’anzianità contributiva di 36 anni senza eccessive penalizzazioni e con la possibilità di sfruttare il canale alternativo dell’Ape sociale in versione potenziata e strutturale.
Ricordiamo che tra i lavori definiti ‘gravosi’ spiccano insegnanti di asilo nido e scuola materna, infermieri e ostetriche con lavoro organizzato in turni, macchinisti, conduttori di gru, camion e mezzi pesanti, operai dell’industria estrattiva, operai dell’edilizia e della manutenzione degli edifici, facchini, badanti che assistono persone non autosufficienti, addetti alle pulizie, operatori ecologici, conciatori di pelli.
Ipotesi Quota 102
Per tutti gli altri lavoratori potrebbe prospettarsi Quota 102. La soglia minima di uscita, sempre in chiave flessibile, salirebbe a 64 anni d’età (e comunque a non meno di 63 anni) e 38 anni di contribuzione e con penalità legate al metodo di calcolo contributivo di una certa consistenza per ogni anno d’anticipo rispetto al limite di vecchiaia dei 67 anni.
La differenza sostanziale, che renderebbe la riforma più sostenibile dal punto di vista economico, sarebbe il taglio dell’assegno, con circa il 3% in meno del montante retributivo per ogni anno di anticipo (e quindi rispetto alla normale età dei 67 anni per la pensione).
Resta sul tavolo anche la possibilità di estendere a tutti i lavoratori Quota 41 una nuova forma di pensione anticipata basato però sul requisito contributivo (41 anni di contributi), in cui viene eliminato il vincoli di età.
E che ad oggi è il progetto preferito dai sindacati ma non convince le casse dello Stato perché giudicata troppo costosa.
Al di là delle rispettive posizioni, le parti dovranno fare i conti con gli eventuali costi delle proposte in campo e il ripristino del collegamento diretto tra uscite e speranza di vita per le pensioni anticipate, che è stato bloccato fino al 2026 dal governo Conte 1 con l’introduzione di Quota 100.