Entrano nel vivo le discussioni tra governo e sindacati sul fronte delle pensioni. Le due parti si incontreranno oggi con l’obiettivo di gettare le basi del nuovo assetto previdenziale, che dovrà entrare in vigore il 1° gennaio 2022, dopo la “scadenza” di Quota 100.
Il confronto si rende necessario per allentare le possibili conseguenze del cosiddetto scalone. In pratica, in assenza di un’alternativa, tornerebbero in campo i requisiti di uscita della riforma Fornero.
Il significherebbe fino a cinque anni di lavoro in più per la pensione di vecchiaia a 67 anni o l’uscita con la pensione anticipata con circa 43 anni di contributi.
Tra opzioni sul tavolo, come scrive il Sole 24 Ore, c’è anche quella della “doppia flessibilità in uscita” che
“prevede anzitutto la possibilità di consentire ad una prima fetta di categorie di lavoratori, a cominciare da quelli che svolgono attività gravose o comunque usuranti, di andare in pensione già a 62 (o 63) anni con un’anzianità contributiva di 36 (o 37) anni senza eccessive penalizzazioni e con la possibilità di sfruttare il canale alternativo dell’Ape sociale in versione potenziata e strutturale.
Per tutti gli altri lavoratori la soglia minima di uscita, sempre in chiave flessibile, salirebbe a 64 anni d’età (e comunque a non meno di 63 anni) e almeno 37 (o 38) anni di contribuzione e con penalità legate al metodo di calcolo contributivo di una certa consistenza per ogni anno d’anticipo rispetto al limite di vecchiaia dei 67 anni”.
Quali sono i lavori gravosi
Ricordiamo che tra i lavori definiti ‘gravosi’ spiccano insegnanti di asilo nido e scuola materna, infermieri e ostetriche con lavoro organizzato in turni, macchinisti, conduttori di gru, camion e mezzi pesanti, operai dell’industria estrattiva, operai dell’edilizia e della manutenzione degli edifici, facchini, badanti che assistono persone non autosufficienti, addetti alle pulizie, operatori ecologici, conciatori di pelli.
I nodi da sciogliere
L’ipotesi, come spiega il quotidiano economico, “non sarebbe del tutto sgradita ai sindacati per i quali, comunque, la priorità resta l’uscita garantita per tutti (a partire dai cosiddetti “precoci”) alla maturazione dei 41 anni di contribuzione”.
Il nodo centrale sono tuttavia i costi. Questo pacchetto, che, a seconda della configurazione, potrebbe valere anche più di 500 milioni. E, alla luce dell’impossibilità di ricorrere a nuovo deficit per la legge di bilancio e la necessità di dare la precedenza all’avvio della riforma fiscale, i margini di manovra appaio assai stretti.