Uno dei temi cavalcati dalla maggioranza è quello relativo agli aumenti delle pensioni. Forza Italia lo aveva addirittura inserito nel programma elettorale, tanto che, in alcune occasioni, Silvio Berlusconi aveva fatto cenno ad una soglia davvero ambiziosa per gli assegni previdenziali: 1.000 euro al mese.
Prima di arrivare a questo traguardo particolarmente ambito, con l’ultima Legge di Bilancio, il governo Meloni ha centrato un primo obiettivo: portare a 600 euro nel 2023 le pensioni di quanti avessero più di 75 anni.
In linea teorica l’aumento sarebbe dovuto arrivare nel corso del mese di gennaio. Siamo a maggio, ma non è ancora arrivato nulla. Come mai?
Pensioni, cosa prevede la Legge di Bilancio
Cosa prevede nel dettaglio la Legge di Bilancio per quanto riguarda le pensioni? La norma aveva stabilito che quanti percepissero degli assegni inferiori od uguali al trattamento minimo dell’Inps ricevessero un aumento – per il 2023 – dell’1,5%. Per le persone con più di 75 anni la maggiorazione sarebbe stata del 6,4%: questo significa, in estrema sintesi, che le pensioni sarebbero passate da 563,74 euro a 572,19 euro per tutti e a 599,82 euro per gli over 75.
Il provvedimento aveva stabilito, inoltre, che per il 2024 sarebbero state annullate completamente le maggiorazioni applicate nel corso del 2023 e si sarebbe ripartiti con un aumento del 2,7% rispetto al nuovo importo del trattamento minimo dell’Inps, che deve essere ancora definito. Dal prossimo anno non ci sarà più alcuna distinzione in base all’età: tutti percepiranno 15 euro in più.
Siamo davanti, quindi, a degli aumenti provvisori, che si muovono indipendentemente dalle rivalutazioni determinate dall’inflazione.
Quando sono previsti gli aumenti per le pensioni minime
Ma quando dovrebbero arrivare questi aumenti? Per il momento non ci sono delle comunicazioni ufficiali. Il Ministero del Lavoro, però, avrebbe comunicato che il motivo del ritardo sarebbe causato proprio dal testo della legge, che non permette di individuare con precisione la platea dei potenziali beneficiari, che, almeno in questo momento, è stimata essere intorno ai 2 milioni di pensionati.
Nel corso dei primi giorni di aprile, l’Inps ha diffuso una circolare attraverso la quale ha comunicato i criteri di massima per l’applicazione della norma. Ulteriori scambi ci sono stati poi tra l’istituto di previdenza ed il Ministero del Lavoro per definire alcuni punti rimasti in sospeso. A seguito di questi chiarimenti sembrerebbe che con la rata di luglio possano arrivare i primi aumenti delle pensioni. È possibile che l’operazione possa essere anticipata a giugno: con il primo versamento spetterebbero anche gli arretrati dal mese di gennaio 2023. Questa operazione, per le casse dello Stato, ha un costo complessivo pari a 480 milioni di euro nel 2023 e di 379 milioni nel 2024.
I problemi della rivalutazione
A mettere in evidenza i problemi della rivalutazione delle pensioni ci ha pensato il presidente uscente dell’Inps, Pasquale Tridico, che ha puntato il dito sullo squilibrio dei conti dell’Inps. Con l’aumento degli assegni previdenziali dovuto alla rivalutazione, è salita la spesa pensionistica.
In un certo senso Tridico sembra essersi messo sulla scia di una presa di posizione di Christine Lagarde, presidente della Bce, che ritiene che le politiche di indicizzazione delle pensioni rappresenti un ostacolo alle politiche messe in atto per frenare l’inflazione.
Lagarde ritiene che, come è stato dimostrato in passato, strumenti come la perequazione possano contribuire ad alimentare l’aumento dei prezzi, andando a rendere l’inflazione incontrollabile.