ROMA (WSI) – Un complotto per far fuori l’allora premier Silvio Berlusconi, nel 2011, in piena crisi dell’Euro. Un piano proposto da alcuni funzionari europei, ma rifiutato dal governo Obama. Lo rivela il responsabile del Tesoro Usa Timothy Geithner nel suo libro “Stress Test. Riflessioni sulla crisi finanziaria”.
“Me lo chiesero, ma mi rifiutai” sottolinea l’ex ministro. Da fonti dell’Unione Europea arriva una secca smentita: “Nessuna congiura, eravamo solo impegnati a salvare l’Euro”
Berlusconi: “Complotto? Non sono sorpreso”
“Non sono sorpreso. Ho sempre dichiarato che nel 2011 nei confronti del mio governo, ma anche nei confronti del mio Paese, c’è stato tutto un movimento che era partito dal nostro interno ma poi si è esteso anche all’esterno per tentare di sostituire il mio governo, eletto dai cittadini, con un altro governo”. Così il diretto interessato, l’ex premier Silvio Berlusconi, ha commentato il retroscena di Geithner.
Le reazioni
Le sue rivelazioni giungono nel nostro Paese scatenando una bufera. Il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, glissa sull’argomento “E’ una stagione passata, l’Italia ha voltato pagina e comunque il complotto non si è realizzato”. Il responsabile del Viminale Angelino Alfano ritiene che sia il caso di “valutare la possibilità di istituire una commissione d’inchiesta parlamentare” sul 2011.
Una richiesta, partita proprio dai banchi di Forza Italia. Il partito di Silvio Berlusconi è su tutte le furie per queste rivelazioni. Anzitutto gli esponenti azzurri ne deducono che il “complotto ci fu” e non fu rifiutato.
Il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri si scaglia contro la Mogherini: “La sua risposta sul caso dimostra che è inadeguata a ricoprire il suo incarico”.
L’ex ministro forzista Elio Vito chiede con forza di appurare la verità con indagini parlamentari: “Il Parlamento ha il dovere di accertare se affermazioni contenute nel libro dell’ex ministro Tesoro Usa, Geithner, sono vere e testimoniare che la difesa della volontà popolare e del principio democratico sta a cuore a tutti”.
***
L’imbarazzo della Casa Bianca per l’alleato “radioattivo”. Per alcuni consulenti di Obama Berlusconi era “un pericolo”
di PAOLO MASTROLILLI
INVIATO A NEW YORK
[ARTICLEIMAGE] «Tutto quello che avevo da dire sta scritto nel mio libro». Così l’ex segretario al Tesoro americano Timothy Geithner commenta la sua rivelazione di un complotto per far cadere il premier italiano Silvio Berlusconi, attraverso la portavoce. Dunque Geithner non rivela chi fossero gli «european officials» che lo avevano avvicinato, per proporgli di bloccare ogni assistenza del Fondo Monetario Internazionale all’Italia, fino a quando il presidente del Consiglio non avesse lasciato il potere. Nello stesso tempo, però, non fa marcia indietro e non smentisce la trama raccontata nel suo libro «Stress Test».
La parola «officials» si traduce in funzionari, o anche membri di istituzioni e governi. Quindi è probabile che si tratti dei suoi omologhi, ossia i ministri delle finanze di Germania, Francia, Gran Bretagna, e altri paesi europei. Nello stesso tempo anche l’allora direttore dell’Fmi, la francese Lagarde, potrebbe essere definita «european official», così come i vertici di Bruxelles o della Bce. Non si può escludere poi che un ministro americano come Geithner, all’apice della crisi economica del 2011, avesse contatti diretti con gli stessi leader dei governi.
Nel suo libro l’ex segretario dice che prese sul serio la proposta del complotto, al punto di parlarne col presidente Obama, ma decise che gli Usa non volevano partecipare: «Non possiamo avere il suo sangue sulle nostre mani». All’epoca Geithner era impegnato soprattutto a convincere gli europei, a partire dalla cancelliera tedesca Merkel, che dovevano aprire i portafogli per costruire un «firewall», un muro di protezione, in grado salvare dal fallimento tanto le banche, quanto i governi in difficoltà. I leader europei, in testa Berlino e Parigi, gli rispondevano che non era possibile mobilitare questi aiuti, specie all’Italia, fino a quando aveva un governo irresponsabile che non garantiva di fare le riforme promesse per riportare la stabilità. Washington però non voleva avere parte in una congiura per eliminare l’ostacolo Berlusconi, che eventualmente dovevano sbrigarsi gli europei stessi.
Di sicuro, però, gli Usa non consideravano più il premier italiano un interlocutore credibile. Già il 30 giugno del 2009, quando imperversava il primo scandalo a sfondo sessuale sulle ragazze invitate nella villa in Sardegna, l’allora vice ambasciatrice a Roma Elizabeth Dibble aveva inviato al dipartimento di Stato un rapporto su Silvio con un titolo che non lasciava dubbi sulla bassa stima: «Girls, Girls, Girls», ragazze, ragazze, ragazze. Questa sembrava l’unica attività che interessava a Berlusconi, al punto che dietro le quinte alcuni funzionari della Casa Bianca lo definivano «radioattivo». Il presidente Obama, in altre parole, non voleva e non poteva neanche farsi vedere assieme a lui: le accuse di rapporti sessuali con minorenni lo rendevano infrequentabile, e qualunque foto con Berlusconi sarebbe stata usata contro Barack nella campagna presidenziale del 2012. Washington, del resto, aveva un’alternativa affidabile a cui rivolgersi, per gestire il rapporto con l’Italia: il presidente della Repubblica Napolitano.
Con lui il rapporto era ottimo, e veniva considerato l’ancora di salvataggio istituzionale del Paese.
I canali si erano riaperti quando era diventato premier Monti, secondo Geithner «un economista che proiettava competenza tecnocratica», e infatti era stato ricevuto alla Casa Bianca nel febbraio 2012. La sua caduta e sconfitta elettorale, nonostante l’aiuto del guru di Obama David Axelrod, aveva sorpreso e deluso gli americani, che però hanno trovato in Letta e ora in Renzi interlocutori positivi. La spinta riformista del nuovo premier è apprezzata, anche se a Washington molti si aspettano che quando avrà i primi risultati punterà alla legittimazione delle elezioni anticipate, perché le alleanze attuali lo frenano.
Copyright © La Stampa. All rights reserved