Mentre il governo continua ribadire gli impegni sul fronte del reddito di cittadinanza, resta da sciogliere un nodo, squisitamente matematico, sulle clausole di salvaguardia. Evitare l’aumento dell’Iva dal 22 al 24,2% e dal 10 al 12% per l’aliquota intermedia richiederebbe, da solo, il reperimento di 12,4 miliardi di euro. A questa somma dovrebbero poi aggiungersi, in vista della Legge di bilancio, i costi delle varie misure “di bandiera” dei due partiti di governo, a partire dalla riduzione di Irpef e Ires (“flat tax”) e reddito di cittadinanza. Se le risorse per sterilizzare le clausole di salvaguardia non verranno specificamente indicate, tramite tagli alla spesa o aumenti attesi di gettito, il rincaro dell’Iva sarà inevitabile. Quest’ultimo avrebbe, innanzitutto, il limite di andare a scoraggiare i consumi e di colpire di maggiormente i redditi più bassi. La linea ufficiale del governo, comunque, resta che l’Iva non aumenterà e che i conti non verranno stravolti.
Secondo indiscrezioni di alcuni giorni fa, ma subito smentite dai due vicepremier Salvini e Di Maio, il ministro dell’Economia Giovanni Tria non vedrebbe di cattivo occhio il mancato intervento sull’Iva e il riordino degli 80 euro renziani. Nello scenario più netto, rimuovere il bonus Renzi e non sterilizzare le clausole di salvaguardia garantirebbe un risparmio di 21 miliardi di euro, aveva calcolato Repubblica. Se si considera che la flat tax indicata nel contratto di governo ne costerebbe da sola 50 si comprende come il reperimento di queste risorse sia quantomai importante per assicurare la stabilità del bilancio pubblico.
Le probabilità di un aumento Iva crescono ancora se si aggiunge la necessità di garantire una sufficiente prudenza fiscale agli occhi dei mercati e delle agenzie di rating, avendo sullo sfondo il termine del programma di acquisti della Bce. Una crisi di fiducia, del resto, non gioverebbe nemmeno al governo.