*Paul Craig Roberts è stato assistente segretario del Ministero del Tesoro con l’amministrazione di Ronald Reagan. È stato editore associato della pagina Opinioni del ‘Wall Street Journal’ e direttore della ‘National Review’. Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – Il 20 marzo e’ stato il terzo anniversario dell’invasione dell’Iraq da parte del regime di Bush. Le vittime americane secondo i dati attuali sono circa 20.000 tra morti, feriti, mutilati e invalidi di guerra. Le vittime irachene sono nell’ordine delle decine di migliaia. Le infrastrutture irachene sono in rovina. Migliaia di case sono state distrutte. Falluja, una città di 300.000 persone, ha subito la distruzione di 36.000 delle sue 50.000 abitazioni, ovviamente a causa dell’esercito americano. Metà degli abitanti sono sfollati che ora vivono nelle tende. Migliaia di iracheni sono stati detenuti in prigione e centinaia di loro sono stati brutalmente torturati. La reputazione degli americani presso il mondo musulmano è rovinata.
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Il regime di Bush si aspettava che questa guerra fosse una passeggiata, seguita dall’installazione di un governo fantoccio e di basi americane permanenti. Al contrario, le forze militari statunitensi si sono dovute confrontare con un’insurrezione che non ha permesso loro di controllare l’Iraq. Regna il caos e presto l’insurrezione potrebbe volgersi in una guerra civile.
Il 9 marzo il segretario della difesa Donald Rumsfeld, l’uomo che dell’Iraq non ha capito nulla, ha dichiarato al Congresso che se le violenze dovessero sfociare in una guerra civile, per porvi fine l’esercito americano dovrebbe far affidamento sulle forze di sicurezza irachene.
Sì, ma quali forze di sicurezza irachene? L’Iraq non ne possiede. Gli sciiti ne hanno. I sunniti ne hanno. I curdi pure. Sono le milizie a controllare le strade, le città, i paesi. Se scoppiasse una guerra civile, le “forze di sicurezza irachene” si dissolverebbero in tanti gruppi separati, lasciando l’esercito americano nel bel mezzo della mischia. È questo che significa ‘supportare le truppe’?
La determinazione del presidente Bush a rimanere in Iraq, nonostante l’ovvio fallimento dell’occupazione, gli ha inviso la popolazione americana e i soldati. I sondaggi rivelano che la maggioranza degli americani ormai crede che l’invasione sia stato un errore, e che l’esercito debba essere ritirato. Tra le truppe c’è una maggioranza perfino superiore. Eppure, Bush ancora non vuole ammettere l’errore e persiste in una strategia sbagliata che si sta trasformando in una catastrofe. I consensi per il presidente sono ormai crollati al 34%.
L’intollerabile costo della guerra ha raggiunto, secondo gli ultimi dati, i 300 miliardi di dollari (compresi i soldi presi in prestito dai paesi esteri). Esperti economisti hanno calcolato che le spese a lungo termine della guerra di Bush (le cure per i veterani, gli interessi sui prestiti, il mantenimento di risorse deviate da uno scopo produttivo) si aggirano intorno ai duemila miliardi. E quali sono stati i vantaggi di questo enorme sacrificio? Nessuno lo sa.
Ogni pretesto addotto per l’invasione dell’Iraq si è dimostrato falso. Saddam Hussein non aveva armi di distruzione di massa. I rapporti degli ispettori dell’ONU, degli ufficiali dell’intelligence, del segretario del Ministero del Tesoro Paul O’Neal e tutti gli altri documenti del governo inglese, rendono inequivocabilmente chiaro che il regime di Bush prima ha deciso di invadere l’Iraq, e poi si è guardato attorno per trovare una buona scusa. Saddam Hussein non aveva nessun collegamento con i terroristi di Bin Laden e non aveva avuto nessun ruolo negli attacchi dell’ 11 settembre. Saddam era un despota laico, agli antipodi della filosofia islamista di al-Qaeda. Chiunque fosse un minimo informato non aveva dubbi a proposito.
Una volta collassata la prima giustificazione all’invasione dell’Iraq, Bush ha dichiarato che il suo unico scopo era di liberare l’Iraq da un dittatore e di mettere un governo democratico al suo posto. Nonostante tutto il gran clamore sulla democrazia e sulle elezioni, non si è formato nessun governo democratico in Iraq e il paese è sull’orlo di una guerra civile. Alcuni esperti del Medio Oriente ritengono che le violenze si spargeranno in tutta la regione.
La brutale verità è che la responsabilità dell’America è enorme. Abbiamo distrutto una nazione e creato il caos politico senza avere il benché minimo motivo di farlo.
Raramente nella storia un governo ha fatto tanto male i suoi calcoli come il governo di Bush. E ancora più grave è il fatto che Bush non sembra assolutamente in grado di rimediare al suo errore. Tutto quello che abbiamo sono le promesse vanagloriose di una vittoria a cui nessuno dei suoi comandanti crede più. L’intero governo americano è in confusione. Un giorno il vice presidente Cheaney e il segretario alla difesa Rumsfeld ci dicono che stanno ottenendo grandi successi in Iraq e che inizieranno a ritirare le truppe entro un anno. Il giorno dopo ci dicono la guerra continuerà ancora per decenni.
L’invasione dell’Iraq è stata un errore. Il tentativo di Bush di coprire il suo errore con il patriottismo ha gettato discredito sul patriottismo stesso. L’America deve essere matura abbastanza da ammettere il suo errore e fare in modo che tutto finisca al più presto.
Per gentile concessione a Wall Street Italia del sito www.nuovimondimedia.com, che ha curato la traduzione.