Perché le banche centrali vogliono una valuta digitale (e quali sono i rischi)
La Cina è in pole position: presto potrebbe adottare un renminbi virtuale, anche per farsi spazio come moneta globale di riserva. Ma la BCE e l’Europa non stanno a guardare. Ecco i retroscena della corsa delle banche centrali a una valuta digitale, con tutti i vantaggi (e i rischi) per i risparmiatori.
Perché questa corsa alle valuta digitale?
«In parte si deve alla minaccia dell’avvento di una “stablecoin” di privati, come il consorzio Libra, e in generale all’interesse delle banche centrali nel mantenere il controllo del settore finanziario e del sistema dei pagamenti», spiega Alessandro Tentori, Chief Investment Officer di AXA IM Italia.
I vantaggi di un euro digitale sarebbero rilevanti, sottolinea la BCE: dalla complementarietà con le banconote all’efficienza dei pagamenti, dal contributo alla digitalizzazione dell’economia alla lotta al sommerso.
Senza dimenticare la sicurezza di avere uno strumento controllato dalla propria banca centrale e non, poniamo, da privati residenti al di fuori dell’eurozona. La BCE potrebbe anche dare la possibilità ai cittadini di depositare direttamente i loro euro digitali all’interno della banca centrale, senza l’intermediazione dei normali istituti di credito. Il che rappresenterebbe una vera rivoluzione.
I nodi da sciogliere, tuttavia, non sono pochi. «Se si aprisse alla possibilità di depositare direttamente alla BCE, le banche private si troverebbero in difficoltà sul fronte del funding. – ragiona Tentori – In Italia per esempio gli istituti di credito non stanno trasferendo sui clienti i tassi negativi, perché grazie ai depositi raccolgono fondi da impiegare: ma cosa accadrebbe se gli italiani decidessero di mettere i loro risparmi direttamente nei conti della BCE, ritenuta più affidabile? Le banche si troverebbero con molto meno cash in pancia».
Non parliamo poi di cosa succederebbe in situazioni di panico, quando il timore di default delle banche private potrebbe spingere i risparmiatori a trasferire di corsa i propri soldi alla banca centrale, facendo perdere agli istituti di credito la loro base di depositi. «Una BCE dotata di valuta digitale e aperta ai conti dei privati costringerebbe le banche tradizionali a un cambiamento di pelle, più orientato all’investment banking e meno all’attuale business model “per tutti”», continua il CIO di AXA IM Italia.
Cina in pole position
Intanto Pechino sta correndo. Mentre la Federal Reserve statunitense per ora resta alla finestra, la People Bank of China sarà probabilmente la prima big a lanciare la propria valuta digitale.
«Del resto l’e-money del Dragone è già una realtà, con le transazioni di WeChatPay e Alipay (bracci finanziari di WeChat e Alibaba) che sono superiori a quelle globali di Visa e Mastercard messe assieme», spiega Tentori. «Inoltre in Cina una larga parte degli istituti di credito è parastatale, quindi c’è una continuità tra la banca centrale e quelle retail».
Il vantaggio di essere i primi a introdurre un renmimbi digitale sarebbe enorme: un “first mover advantage” che permetterebbe alla moneta del Dragone di farsi spazio come valuta di riserva ai danni del dollaro.
Oggi infatti Pechino pesa per circa il 20% dell’economia mondiale, ma lo yuan vale solo il 2,1% come valuta di riserva (contro il 63% del dollaro): la digitalizzazione della moneta porterebbe a una “yuanizzazione” degli scambi internazionali.
Rappresentando un’affilata arma valutaria contro il biglietto verde, in particolare nell’area di libero scambio asiatica appena consolidata con il RCEP (il colossale accordo commerciale che oltre alla Cina e ai dieci Stati membri dell’Asean comprende anche Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda).