Aver immaginato che il calo del prezzo del petrolio avrebbe consentito una decisa impennata all’economia globale sembrava una previsione logica quando il Fondo monetario internazionale l’aveva formulata; meno di un anno fa si pensava che il 2016 avrebbe segnato un incremento del Pil globale del 3,5%, ma lo scenario è presto cambiato. Citi ora si aspetta una crescita del 2,5%, mentre l’outlook del Fmi, è già stato annunciato, potrebbe essere rivisto al ribasso. A questo aspetto va aggiunta la prospettiva delle aziende, i cui profitti in Europa sembrano destinati a mostrare la crescita più contenuta dal nefasto 2009.
Perché le speranze sui benefici del petrolio a buon mercato sono state tradite?
In primo luogo le società attive nel settore sono state costrette a tagliare la spesa e gli investimenti, dati i livelli d’indebitamento accumulati durante l’oil boom (3mila miliardi di dollari): secondo Rystad Energy la spesa in conto capitale in giacimenti di gas e petrolio è scesa di 215 miliardi di dollari fra il 2014 e il 2015, pari allo 0,3% dell’economia mondiale.
L’altro effetto atteso dal calo del petrolio, invece, era la ripresa dei consumi: anche questo aspetto è risultato inferiore alle attese. Nelle economie avanzate l’aumento della capacità di spesa si è tradotta principalmente in una maggiore propensione al risparmio (è il caso degli Stati Uniti) o in investimenti corporate deludenti (come in Europa).
Gli economisti stanno dunque riflettendo sulle conseguenze reali del calo dei prezzi del petrolio, ipotizzando che, per vederne gli effetti positivi, esso vaga accompagnato al taglio dei tassi. Ma, com’è noto, le banche centrali hanno già praticamente esaurito la possibilità di tagliare ulteriormente il costo del denaro. Nel dibattito è intervenuto il capo economista del Fmi, Maurice Obstfeld: “Quando i tassi d’interesse sono bassi, la caduta dei prezzi del petrolio può ridurre l’incentivo a spendere tale ribasso nell’immediato”, ha scritto, “poiché i consumatori non hanno paura che i prezzi possano risalire nel prossimo futuro”.
Fonte: Financial Times