Fukushima e acque radioattive, Cina vieta l’import del pesce. Quali rischi in Italia? I numeri
Giovedì scorso il Giappone ha cominciato a riversare in mare le acque di raffreddamento utilizzate nella centrale di Fukushima dopo il disastro del 2011. Poche ore dopo, nonostante le rassicurazioni da parte di istituzioni e scienziati, la Cina ha vietato ogni forma di importazione di prodotti ittici provenienti dal paese nipponico, andando ad ampliare numerose restrizioni già in essere. Ma ci sono rischi effettivi per la salute? Il pesce proveniente da Fukushima può essere considerato pericoloso?
Il blocco della Cina del pesce giapponese
La decisione del Giappone di rilasciare nell’oceano oltre un milione di tonnellate di acque reflue radioattive ha innescato una furiosa reazione da parte della Cina, che ha dichiarato il divieto totale di importazioni di prodotti ittici dal paese nipponico. Questo divieto amplia in modo significativo le restrizioni preesistenti, che già riguardavano l’importazione di prodotti ittici dalla prefettura di Fukushima. La Cina insiste che il divieto di importazione è motivato dalla necessità di “evitare il rischio di contaminazione radioattiva degli alimenti“, accusando il Giappone di agire in maniera “estremamente egoista e irresponsabile“, ignorando gli interessi pubblici internazionali.
È evidente che questo divieto avrà un impatto significativo sui legami commerciali tra i due paesi. Nel corso dell’anno scorso, il Giappone ha esportato prodotti ittici verso la Cina per un valore di circa 942,4 milioni di dollari (equivalenti a 137,7 miliardi di yen). Allo stesso tempo, le esportazioni verso Hong Kong hanno raggiunto circa 432,3 milioni di dollari (63,2 miliardi di yen), secondo le stime del governo giapponese.
Le acque sono considerate sicure. C’è altro oltre al blocco?
Il piano di rilasciare l’acqua nell’oceano è stato approvato dall’organismo di vigilanza atomica delle Nazioni Unite, dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) e dal governo giapponese. I test iniziali su campioni delle prime acque reflue scaricate hanno mostrato livelli di radioattività ben al di sotto dei limiti di sicurezza.
Rafael Mariano Grossi, direttore generale dell’Aiea, tramite una nota ufficiale ha dichiarato:
Negli ultimi due anni l’Aiea ha condotto un esame dettagliato riguardo gli aspetti legati alla sicurezza della gestione e dello scarico dell’acqua trattata. Il rapporto ha concluso che l’approccio e le attività per questo scarico sono coerenti con gli standard di sicurezza internazionali pertinenti e avrebbero un impatto radiologico trascurabile sulle persone e sull’ambiente.
Secondo il The Guardian, una reazione così forte della Cina riflette in parte la lunga storia di ostilità tra le due potenze asiatiche, risalente alla Seconda Guerra Mondiale e che include varie dispute territoriali marittime. Ne è la prova il fatto che il divieto riguarda solo il Giappone – e non si estende anche alle zone marine intorno a Russia e Corea del Sud, date le preoccupazioni sulla contaminazione radioattiva. Il dibattito ha infuocato i social media cinesi, come Weibo, invasi da discussioni e sondaggi sulla questione. Alcuni utenti hanno addirittura iniziato a condividere elenchi di cosmetici giapponesi da boicottare, temendo la presenza di radiazioni nei prodotti.
Italia, quanto pesce importiamo dal Giappone?
Con il blocco cinese, anche in Italia aumentano le preoccupazioni riguarda le possibili conseguenze sulla salute del pesce proveniente dal giapponese.
Nel 2022, secondo le ultime analisi della Coldiretti basate sui dati Istat, sono stati importati in Italia oltre 123mila chili di pesce dal Giappone. Una quantità minima in confronto all’importazione proveniente da altre nazioni globali, che rappresenta appena lo 0,02% del totale. Il pesce estratto dalle acque del Mar del Giappone, però, è oggetto di cattura anche da parte di altre nazioni. Aumento così la probabilità che pezzi di questo prodotto, entrato in contatto con le acque di Fukushima, finiscano sulle nostre tavole. Questo diventa ancora più significativo considerando che l’Italia, per l’approvvigionamento dei prodotti ittici, è fortemente dipendente dall’estero, per circa l’80%.
Tra i 123.000 chilogrammi di pesce provenienti dal Giappone, circa 86.000 chilogrammi sono costituiti da filetti di tonno congelati, simili a quelli utilizzati nei ristoranti italiani per il sushi. Tuttavia, anche in questa circostanza, i dati tendono a smentire le preoccupazioni riguardo ai potenziali rischi per gli amanti della cucina giapponese. I pesci impiegati nella preparazione del sushi non provengono esclusivamente dal Giappone. Il salmone è importato principalmente dalla Norvegia, Gran Bretagna e Cile. Il tonno proviene principalmente dal Mar Mediterraneo, con piccole quantità importate dall’Oceano Pacifico e dall’Oceano Indiano. Quasi la totalità degli astici arriva invece da America e Australia, mentre quantità considerevoli di gamberi sono importate dal Corno d’Africa.
Come riconoscere il pesce giapponese
Per assistere il consumatore, viene introdotto un codice numerico visibile sulle confezioni di pesce vendute nei supermercati che si basa sulle cosiddette zone di pesca Fao. Non esiste un numero specifico che identifichi direttamente la zona di Fukushima. Tuttavia, la regione oceanica giapponese è riconoscibile tramite il codice numerico 61. Pertanto, se tale cifra è presente sulla confezione, è possibile affermare con sicurezza che il pesce proviene dalle acque del Pacifico, in particolare dall’area nord-occidentale del Pacifico. Quest’ultima comprende non solo le acque giapponesi, ma coinvolge anche le zone davanti alle coste russe e cinesi.