Sale alle stelle la tensione tra Usa e Iran dopo l’attacco con droni nella giornata di sabato 14 settembre, ufficialmente rivendicati dai ribelli yemeniti filo-iraniani, agli stabilimenti petroliferi di Abqaiq e Khurais, di proprietà della compagnia Saudi Aramco, fra i più grandi del mondo, che hanno costretto l’Arabia Saudita a fermare oltre metà della sua produzione totale di petrolio ( persi 5 milioni di barile al giorno).
Ma per il segretario di Stato Usa Pompeo “non c’è alcuna prova che gli attacchi siano arrivati dallo Yemen” e accusa direttamente l’Iran. Accuse respinto dal ministro degli Esteri iraniano attraverso il portavoce Abbas Mussavi: “Queste accuse ed affermazioni inutili e cieche sono incomprensibili e prive di senso”.
Riad ha intanto annunciato che compenserà il taglio della produzione, pari a 5,7 milioni di barili al giorno -più della metà, appunto, della sua produzione complessiva, e più del cinque per cento della produzione globale – attingendo alle riserve strategiche, che in giugno ammontavano a 188 milioni di barili.
Immediata la reazione degli Stati Uniti che si sono detti, parola di Donald Trump, “pronti e carichi” per reagire agli attacchi contro Riad.
“Le forniture energetiche dell’Arabia Saudita sono state attaccate. C’è ragione di credere che conosciamo i colpevoli, siamo pronti e carichi in attesa della verifica, ma stiamo attendendo di sentire dal regno saudita chi ritiene sia la causa di questo attacco, e in base a quali condizioni procederemo”, ha scritto il tycoon, aggiungendo di aver autorizzato l’uso delle risorse petrolifere strategiche, “se necessario, in una quantità da determinare, sufficiente a mantenere forniti i mercati”.
Si impennano intanto le quotazioni del petrolio. Il contratto novembre del Wti sale del 9,3% a 59,8 dollari al barile mentre la corrispettiva scadenza del Brent segna un balzo del 10,7% a 66,7 dollari.