LONDRA (WSI) – Non si puo’ piu’ fare finta che non esista un legame tra disuguaglianze, debito, dipendenza dal petrolio, crisi alimentare e surriscaldamento climatico.
In un editoriale sul Guardian, lo scrittore Nafeez Mosaddeq Ahmed, anche direttore del think tank inglese IPRD che si occupa di conflitti violenti e crisi globale, sottolinea come le rivolte per il cibo tra le popolazioni povere rischiano di entrare a fare parte della normalita’.
Come si vede bene nel grafico dei prezzi a cura della Fao, l’organizzazione agroalimentare delle Nazioni Unite, l’andamento del costo del cibo segue da vicino quello delle quotazioni del petrolio. Un fenomeno comprensibile se si pensa a quanto la filiera agroalimentare dipenda dai combustibili fossili.
In corrispondenza del picco dei prezzi di zucchero, cereali, latticini e altri beni di prima necessita’ nel 2008 ci sono state rivolte in 13 paesi, che hanno causato un centinaio di morti.
Tra il 2011 e il 2012 le cose sono andate ancora peggio: rivolte in 15 paesi con migliaia di morti. L’indice della Fao ha toccato i massimi per l’esattezza un mese prima della caduta dei regimi di Egitto e Tunisia.
Anche se ultimamente si e’ registrato un rallentamento della crescita, le derrate alimentari continueranno a restare care e dovremo abituarci a convivere con episodi di rivolta scatenati dalla carenza di cibo. La stessa che hanno spinto il giovane commerciante ambulante tunisino Mohamed Bouazizi al gesto estremo: a darsi fuoco in strada, dando il la alla Rivoluzione dei Gelsomini.
A gennaio l’indice Fao dei prezzi alimentari e’ rimasto stabile, dopo tre mesi consecutivi di flessione. Aumenti del prezzo degli oli e dei grassi hanno controbilanciato le quotazioni piu’ basse dei cereali e dello zucchero, mentre i valori dei prodotti lattiero-caseari e delle carni sono rimasti sostanzialmente invariati Le riserve cerealicole mondiali alla chiusura della stagione produttiva del 2013 sono stimate intorno a 495 milioni di tonnellate.