Il greggio continua a correre, e c’é addirittura chi ipotizza che possa superare la soglia dei 100 dollari al barile se la situazione geopolitica dovesse peggiorare. A innescare la volata di oggi, che ha visto il petrolio ‘Wti’ raggiungere quota 75,87 dollari al barile a New York, ai massimi dallo scorso 10 agosto, è stata la decisione del gruppo francese Total di tagliare le esportazioni dal suo giacimento angolano di Dalia a causa di un guasto meccanico.
La decisione di Total di dichiarare lo stato di forza maggiore sulle proprie forniture, invocandone la sospensione a causa di condizioni che esulano dal controllo della società, ha innescato l’ennesima corsa al rialzo per le quotazioni, balzate anche a Londra con il Brent salito dello 0,7% a 77,30 dollari al barile sulla piattaforma Ice.
Perché – spiegano gli esperti – la produzione dal giacimento di Dalia, normalmente pari a 240.000 barili al giorno, era già stata dimezzata, e la decisione di Total si somma al calo delle forniture di benzina negli usa proprio in concomitanza con i picchi di domanda dei mesi estivi. A New York questa sera il petrolio ha chiuso ancora in rialzo a 75,89 dollari.
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Diversi fattori stanno concorrendo al balzo del greggio. La geopolitica, innanzitutto, con una situazione sempre più difficile sul fronte iracheno, e una tensione in Medio Oriente – dall’Iran al Libano – che non accenna a scendere. Boone Pickens, il miliardario che presiede il fondo speculativo BP Capital, ipotizza che le quotazioni del greggio possano finire per superare i 100 dollari al barile se dovesse verificarsi “un evento geopolitico”. “Non credo – ha detto infatti oggi a Pechino Pickens secondo la Bloomberg – che il mondo possa produrre più petrolio di adesso”. Più volte le previsioni di Pickens hanno fatto centro, come dimostra il fatto che proprio la speculazione sul prezzo del petrolio gli è valsa un posto nella lista degli americani più ricchi stilata da Forbes.
Più caute le previsioni di analisti come Kevin Norrish di Barclays, convinto che “é forte l’attesa per un mercato ancora più in difficoltà nei prossimi mesi, con la conseguenza che i prezzi saliranno nel breve termine”. La banca inglese ha alzato le proprie previsioni per i prezzi del Brent nel 2008 di ben 7,40 dollari, portandole a 73,60 dollari al barile, perché non è in previsione alcun aumento delle forniture da parte dei paesi che non fanno parte dell’Opec.
Che ci siano colli di bottiglia dal lato dell’offerta lo dimostra il calo delle scorte statunitensi, che in base ai dati di oggi forniti dal governo statunitense sono scese di 2,3 milioni di barili la scorsa settimana, ben più delle previsioni di circa 900.000 barili in meno, a causa della corsa ai rifornimenti di carburante da parte degli americani in viaggio e del rallentamento delle importazioni.
Ma alla volata dei prezzi stanno concorrendo anche la forte crescita economica della Cina, uno dei principali consumatori mondiali di greggio, che nel secondo trimestre ha raggiunto un’espansione dell’11,9%, ai massimi di dodici anni. Per non parlare dell’Opec: il cartello dei paesi esportatori di greggio, di fronte alle quotazioni in deciso rialzo, sta facendo melina e non ha dato alcun segnale di voler allentare la propria presa sui tagli alle forniture.