Mentre la corsa dei prezzi del petrolio appare sempre più inarrestabile – oggi il barile ha oltrepassato i 135 dollari – sale l’allarme per le forniture globali degli anni a venire, che rischiano di non aumentare come finora previsto. Per questo l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) ha avviato la sua prima indagine globale approfondita sulla situazione dei giacimenti in tutto il mondo. L’ente parigino, che fa capo ai paesi consumatori dell’Ocse, potrebbe procedere a drastiche revisioni al ribasso sulle sue previsioni per la produzione.
Ma i risultati dell’indagine saranno rivelati solo a novembre. Finora la Aie prevedeva che la produzione mondiale di oro nero avrebbe raggiunto il suo picco attorno al 2030, toccando i 116 milioni di barili al giorno rispetto ai circa 87 milioni attuali. Ma ora teme che il deterioramento dei giacimenti esistenti, combinato all’insufficienza degli investimenti possa rendere difficile anche il semplice superamento della soglia dei 100 milioni di al barili.
Indiscrezioni che non possono che accentuare le già forti tensioni dei mercati, dove da giorni il petrolio non fa che bruciare un record dietro l’altro. Oggi, circostanza insolita, sia il petrolio West Texas Intermediate, quello scambiato a New York, sia il Brent del Mare del Nord, scambiato a Londra, hanno messo a segno il medesimo primato storico: 135,09 dollari.
A determinare gli ultimi balzi si sono sommati diversi fattori.
Nei giorni scorsi sono giunte indicazioni di una forte domanda di gasolio da parte della Cina, nella necessità di accumulare scorte per le Olimpiadi di Pechino. Nel frattempo l’euro ha segnato nuovi apprezzamenti sul dollaro, e ogni calo del biglietto verde viene da mesi seguito da un aumento del prezzo del petrolio.
Infine, ieri il dipartimento per l’energia degli Usa ha riferito di un calo sulle riserve strategiche di greggio.