Per la prima volta nella sua storia, l’indice Wti, il prezzo di uno speciale tipo di greggio estratto negli USA e usato come benchmark per stimare il valore del petrolio, è andato in negativo, tanto che il 20 aprile un barile veniva venduto a -37 dollari. Un tale crollo ha avuto pesantissime ricadute per quegli stati che, come l’Arabia Saudita, basano il proprio sull’estrazione di idrocarburi, e che grazie alla capacità di dettarne i ritmi di produzione e vendita nel mondo sono riusciti a ergersi come potenze regionali e globali.
Il governo di Riad, spinto dalla crisi di liquidità dovuta alla riduzione delle vendite di petrolio, è dovuto correre ai ripari imponendo pesanti tagli al welfare e un cospicuo aumento delle tasse, incluso l’aumento dell’IVA dal 5 al 15%. L’implementazione di simili misure di austerità è indicativa della crisi che sta attraversando il Paese.
La dipendenza dagli introiti garantiti dalle rendite petrolifere ha portato, negli anni, l’Arabia Saudita a diventare l’emblema dei cosiddetti rentier state. La monarchia ha infatti disegnato un patto sociale particolare con i suoi cittadini: a fronte di una massiccia erogazione di sussidi e benefici economici alla popolazione, la dinastia dei Saud ha ottenuto la legittimità a governare svincolata da ogni forma di rappresentanza civile.
Gli enormi ricavi generati grazie all’esportazione di petrolio nel corso degli ultimi 45 anni hanno quindi permesso alla monarchia di mantenere stabile l’equilibrio interno dello Stato, soffocando qualsiasi forma di dissenso.
Più luci che ombre sul futuro saudita
Nel breve termine, la recessione provocherà anche una riduzione dei fondi destinati a Vision 2030, il progetto di rigenerazione economica del Paese.
Lanciato da Mohammad bin Salman (MbS), leader de facto della nazione, nel 2016, Vision 2030 si propone di ridurre la dipendenza dell’economia saudita dalle rendite petrolifere. Oltre ad essere il più ambizioso piano di investimenti presentato dalla monarchia saudita, il progetto è, per MbS, la chiave per consolidare ulteriormente il suo potere nelle faide interne alla famiglia reale. Con Vision 2030, l’Arabia Saudita punta a consolidare il suo ruolo di leader nel mondo arabo e musulmano.
Il piano prevede il rilancio e la diversificazione dell’economia, stimolando l’afflusso di capitali esteri ed espandendo il turismo religioso nei siti sacri di Mecca e Medina. Finanziare il proselitismo della scuola religiosa Wahabita, legata alla famiglia dei Saud da un patto sancito nel 1744, consentirebbe inoltre a MbS di consolidare la centralità del Paese all’interno mondo islamico.
“La recessione in corso costringerà quei paesi e governi che si erano impegnati a investire fortemente sull’espansione della green economy a posticipare i loro piani”, racconta a Orizzonti Politici Federico Donelli, docente di Politics of the Middle East presso l’Università di Genova.
L’Arabia Saudita tuttavia, prosegue, sarà ancora in grado di dominare il business del greggio una volta che la produzione industriale riprenderà e gli spostamenti torneranno ai livelli pre-Covid.
Grazie al suo status di swing producer – che implica la capacità di innalzare considerevolmente l’estrazione di petrolio con un modesto incremento dei costi – il Paese avrà infatti la possibilità di aumentare il volume delle proprie quote di mercato a scapito di Russia e Stati Uniti, trovandosi quindi nella condizione di sfruttare al meglio la forte domanda di idrocarburi che si genererà nel breve periodo, incrementando i ricavi e garantendosi le finanze necessarie per portare a compimento Vision 2030.
I vantaggi dell’Arabia Saudita
Ma quali sono i fattori che favoriscono l’Arabia? Prima di tutto, i pozzi sauditi si trovano a basse profondità (1500-2000 m), e sono quindi meno costosi da realizzare e mantenere rispetto a quelli russi, che possono arrivare fino a 12.000 m. Questi, proprio per le loro caratteristiche rischierebbero la chiusura definitiva qualora il prezzo per barile crollasse di nuovo, o l’OPEC+ prolungasse ancora il taglio della produzione. La cessazione dell’attività implicherebbe infatti spese consistenti per sigillare le trivellazioni e riempire i giacimenti con prodotti anti-congelamento.
In secondo luogo, il vantaggio saudita sugli americani deriva dalla superiore capacità di immagazzinaggio. Il Wti è infatti estratto negli Stati Uniti tramite una tecnologia chiamata shale, che consiste nella frantumazione di rocce bituminose dalle quali estrarre poi l’idrocarburo. Tuttavia, mentre il petrolio Brent distribuito via mare può essere stoccato sulle petroliere oltre che nei magazzini a terra, lo stesso non vale per il Wti estratto negli Usa.
Quest’ultimo infatti viene smistato principalmente tramite un sistema di oleodotti, e non potendo ristagnare in essi deve essere accumulato unicamente in siti terrestri. Una minor capacità di immagazzinaggio si traduce in una maggior volatilità dei prezzi, che potrebbero calare drammaticamente in caso di sovrapproduzione. Infatti, dati gli elevatissimi costi di affitto dei depositi supplementari, ai proprietari del greggio risulterebbe più conveniente vendere il petrolio letteralmente a ogni costo (anche se negativo) piuttosto che noleggiare magazzini extra.
Non è un caso che sia stato il Wti, e non il Brent, a raggiungere il picco più basso.
Un’opportunità inaspettata
La situazione di incertezza potrebbe quindi permettere all’Arabia Saudita di consolidare il proprio ruolo all’interno di una regione storicamente segnata dall’instabilità politica ed economica. Infatti, nonostante la perdita di entrate derivanti dal greggio, il Paese sarà in grado di risollevarsi meglio degli altri, grazie alle ingenti risorse finanziarie accumulate negli anni e alla grande disponibilità di idrocarburi estraibili in tempi e a costi inferiori rispetto a Russia e Stati Uniti.
Anche se il mercato petrolifero è destinato a perdere la centralità nel campo energetico, l’arrivo di un’inaspettata crisi economica potrebbe portare alla posticipazione della conversione di molti paesi alle risorse rinnovabili. In questo frangente, Riad sarebbe in grado occupare la maggior parte delle quote di mercato, mantenendo la sua egemonia nel campo delle esportazioni di petrolio e allo stesso tempo riuscendo a portare avanti il progetto di diversificazione economica architettato da MbS.
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