L’Opec+ rimarrà fedele al piano di incrementi produttivi del petrolio fissato a 400mila barili al giorno aggiuntivi ogni mese fino al termine del 2022. La decisione del cartello allargato dei Paesi esportatori ha deluso le aspettative di chi aveva auspicato un aumento della produzione più consistente portando le quotazioni del barile Wti ai massimi degli ultimi 14 anni. Intorno alle 17 e 20 italiane il Brent è in rialzo del 3% a 81,65 dollari (ai massimi dal 2018) e il West Texas Intermediate sale del 2,73% a 77,95 dollari al barile. La previsione di Goldman Sachs nel suo scenario base è che il il greggio Brent potrà salire salire fino a 90 dollari al barile.
Nel frattempo a Piazza Affari procedono in controtendenza rispetto al mercato i titoli Eni e Tenaris, in rialzo rispettivamente dell’1,48 e del 2,84%.
Petrolio, le conseguenze della scelta Opec sull’inflazione
La mossa dell’Opec+ ha contribuito a far salire il prezzo del petrolio in un contesto di mercato nel quale il prezzo di altri beni energetici come carbone e gas ha raggiunto livelli record. Le scorte di greggio sono in diminuzione grazie all’aumento dell’attività economica seguita alla fase più acuta della pandemia.
Non solo: il costo record del gas ha incoraggiato lo spostamento della domanda anche sullo stesso petrolio, aumentandone la richiesta complessiva di circa 500.000 barili al giorno, secondo amministratore delegato della compagnia petrolifera statale saudita Aramco, Amin Nasser.
Nel frattempo la produzione petrolifera statunitense sta ancora subendo le conseguenze dell‘uragano Ida, che ha distrutto infrastrutture collegate al settore, con un impatto da 35 milioni di barili. Il rincaro del petrolio avrà l’impatto più importante in Cina e India, fra i maggiori importatori di questa materia prima.