NEW YORK (WSI) – Nel corso del Ventesimo secolo, coloro che hanno sostenuto che la tecnologia avrebbe creato lavoro e benessere hanno avuto la meglio nel dibattito pubblico.
Tuttavia alcuni ora temono che l’era dell’automazione potrebbe avere degli esiti diversi da quelli previsti. L’impatto delle tecnologie odierne sul mercato del lavoro – riportano alcune ricerche – avrà effetti devastanti in termini di posti di lavoro. E, al momento, nessun governo è pronto ad affrontarli.
E’ allarme lanciato dal settimanale inglese Economist in un lungo articolo secondo cui l’impatto della tecnologia avrà gli stessi effetti di un tornado, che colpirà prima le economie industrializzati per poi far sentire i suoi effetti nei paesi più poveri.
Perché esserne preoccupati? “In parte si tratta della storia che si ripete”, si legge nell’articolo di copertina. “Nella prima parte della rivoluzione industriale, l’aumento della produttività aveva favorito, in termini di ricchezza, il capitale, estendendo successivamente i benefici ai lavoratori. Il modello odierno è simile. La ricchezza prodotta dalla rivoluzione digitale è finita in modo sproporzionato nelle tasche dei detentori del capitale e dei lavoratori più qualificati”.
Qualche numero per capire meglio. Negli ultimi tre decenni, la percentuale di incidenza del lavoro sulla produzione globale si è ridotta passando dal 64% al 59 %. Nel frattempo, negli Stati Uniti, la quota di reddito che si è diretta verso l’1% dei più ricchi è passata da circa il 9 % nel 1970 al 22 % di oggi. La disoccupazione ha raggiunto livelli allarmanti in gran parte del mondo industrializzato, e non solo per ragioni congiunturali. Nel 2000, il 65 % degli americani in età lavorativa erano attivi. Da allora la percentuale è scesa fino a raggiungere il 59%.
“Fino ad ora i lavori più vulnerabili sono stati quelli ripetitivi. Ma grazie alla crescita esponenziale della potenza di elaborazione e delle informazioni digitalizzate (“big data”) , i computer sono sempre più in grado di svolgere compiti complessi, in maniera più economica ed efficace rispetto alle persone” riporta l’articolo. In pratica, rispetto al passato, non solo i lavori manuali sono destinati a essere sostuiti, ma anche quelli che richiedono competenze specifiche. ” Evitare il progresso sarebbe inutile come le proteste dei luddisti contro i telai meccanizzati nel 1810, perché ogni Paese che cerca di fermarlo viene superato dai concorrenti desiderosi di abbracciare le nuove tecnologie” si legge. Anche se, a detta dell’autore, a fianco alla rivoluzione digitale è ora necessario come non mai una rivoluzione culturale.
“Un miglioramento delle condizioni dei lavoratori, nella seconda parte della rivoluzione industriale, è avvenuto attraverso le scuole. Ora quelle stesse scuole devono cambiare per favorire la creatività di cui gli esseri umani avranno bisogno per distinguersi dai computer”.
Di qui l’invito ai governi a muoversi già da ora per evitare il peggio: “L’innovazione ha portato grandi benefici per l’umanità. Ma i benefici del progresso tecnologici non sono distribuiti equamente, soprattutto nelle prime fasi di ogni nuova ondata e spetta ai governi saperli diffonderli. Nel XIX secolo è stata necessaria la minaccia di una rivoluzione per realizzare riforme progressiste. I governi di oggi farebbero bene a iniziare a realizzare i cambiamento necessari prima che la gente si arrabbi”.