Dopo anni di crescita, la prima battuta a vuoto e la fase di cambiamento attraversata dall’industria del risparmio gestito spinge a riflettere. WSI ne ha parlato con Paolo Paschetta, responsabile per l’Italia di Pictet Asset Management.
Dott.Paschetta qual è lo stato di salute dell’industria del risparmio gestito in Italia?
«In Italia l’industria del risparmio gestito viene da anni di sviluppo a ritmi che nessuno si aspettava. Secondo la Consob il tasso di penetrazione dei fondi aperti nei portafogli delle famiglie è passato dal 4,2% del 2008 al 12,3% del 2018. La crescita per noi asset manager esteri è stata addirittura dirompente. Sono entrato in Pictet nel 2005, allora gestivamo 3 mld di asset nella Penisola, oggi siamo a 26. Una spinta importante è venuta dall’abbassamento dei tassi di interesse. Il venir meno del motore trainante rappresentato dai bond governativi cui i risparmiatori erano legati, ha spostato capitali verso il risparmio gestito».
L’anno scorso però la crescita si è fermata. Cosa è successo?
«Hanno pesato vari fattori: l’avvio della Mifid 2, il ritorno della volatilità sui mercati e le performance negative che i clienti da tempo non vedevano. Noi, in controtendenza, siamo riusciti a chiudere con una raccolta positiva di 2 miliardi di euro e abbiamo consolidato la nostra posizione in Italia, il secondo Paese per importanza dopo la Svizzera».
L’industria del risparmio gestito vive una fase di passaggio. Quali sono i fattori all’opera?
«In primo luogo la regolamentazione. La Mifid 2 nasce con l’obiettivo di aumentare la trasparenza a favore degli investitori ma agli occhi dei clienti rischia di enfatizzare un unico elemento: il costo. Da qui deriva la pressione sui margini delle società del settore, in primis le fabbriche prodotto. L’industria del risparmio gestito deve agire per spostare i riflettori accesi sull’elemento costo spostandoli sulla qualità. Dobbiamo competere alzando la qualità del prodotto e del servizio e farlo percepire al cliente finale in maniera che sia lui a voler pagare di più per avere il meglio.
Detto questo ci sono anche conseguenze positive, come la spinta alla riduzione del numero di fondi. Mi risulta che in Europa ce ne siano 36.500. La maggior parte delle reti con cui lavoriamo hanno autorizzati sui loro scaffali circa 8.000 prodotti. Sono tanti, troppi. Una razionalizzazione dell’offerta è positiva perché fa perdere meno tempo in ricerche al consulente finanziario che così si può dedicare a quello che è il cuore della sua attività: la relazione con il cliente. C’è anche un tema di riduzione del numero di asset manager. Solo chi ha economie di scala sufficientemente grandi può continuare a giocare in questo campo con regole cambiate».
Nei prossimi anni su quali leve strategiche si fonderà lo sviluppo di Pictet AM in Italia?
«Pictet da sempre dedica tanta attenzione e grandi risorse allo sviluppo delle relazioni sul territorio, sia con le reti di distribuzione che con i singoli consulenti e con i clienti finali. Per dare qualche numero: nel 2018 abbiamo incontrato circa 24.000 consulenti finanziari attraverso 550 eventi di formazione e 53 roadshow. Continueremo a invesrire risorse sui professionisti del risparmio che riteniamo siano il motore trainante dell’industria del risparmio gestito. La loro preparazione è una leva strategica fondamentale per noi.
Altrettanto importante è la formazione del cliente. Una recente ricerca dimostra che quanto maggiore è la cultura finanziaria di un investitore, tanto maggiore è la sua propensione a rivolgersi a consulenti finanziari esperti per le decisioni di investimento e a diversificare il portafoglio con strumenti più sofisticati. Dobbiamo tutti, intendo a livello di industria, investire nella formazione del cliente finale.Pictet AM lo fa in tre modi: partecipando con le reti di distribuzione a incontri con i clienti (circa 200 lo scorso anno), utilizzando i social network che consideriamo uno strumento di lavoro a tutti gli effetti (contiamo circa 15.000 follower) e attraverso il sito “Pictet per Te” che si occupa unicamente di fare formazione e cultura finanziaria.
Un’altra leva strategica l’innovazione di prodotto. Siamo stati i primi a lanciare soluzioni di investimento sui grandi trend globali e ancora oggi siamo leader. Adesso guardiamo con interesse anche il mondo del non quotato, sempre più apprezzato dal mercato in quanto in grado di generare valore nel lungo periodo. Intendo private equity, private debt, real estate, infrastrutture, sui quali siamo presenti da tanti anni a livello globale con soluzioni di investimento per operatori professionali. Queste asset class potrebbero diventare potenzialmente interessanti anche per il pubblico retail».
Per il mercato italiano avete qualche progetto in rampa di lancio?
«Abbiamo una campagna sui piani di accumulo, uno strumento efficace in contesti di mercato difficilmente prevedibili. Non vogliamo che siano considerati come lo strumento di risparmio per chi ha poche risorse finanziarie. Pensiamo che siano adatti anche per un cliente con maggior disponibilità di capitali da investire, per il quale il pac rappresenta un ottimo strumento per mitigare la volatilità del mercato sulla parte più rischiosa, e quindi più orientata al lungo termine, di portafoglio, aiutando anche a gestire meglio l’emotività. Da marzo Pictet AM si farà carico dei costi amministrativi di apertura dei pac sottoscritti nel 2019. Questi costi hanno di solito un importante impatto sul cliente finale. Abbiamo poi in preparazione un roadshow speciale estivo dedicato ai dieci anni del fondo Pictet Global Mega Trend Selection, che rappresenta il cuore della nostra offerta di fondi tematici e ha realizzato una performance annualizzata del 10% dal lancio. Sarà un roadshow innovativo in cui la consueta ricchezza di contenuti formativi si combinerà con numerose sorprese per la nostra affezionata audience».
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di marzo del magazine Wall Street Italia.