Già presenti all’estero, da inizio anno i Piani individuali di risparmio (PIR) hanno fatto il loro debutto anche in Italia. Introdotti con l’ultima legge di bilancio, i PIR sono, in estrema sintesi, una forma di investimento a medio termine, nate con l’obiettivo di veicolare i risparmi delle famiglie verso le imprese italiane e in particolare verso le piccole e medie imprese. L’investimento avviene attraverso strumenti finanziari come obbligazioni, azioni e quote di fondi di investimento su imprese italiane, anche di piccole-medie dimensione, o aziende con stabile organizzazione in Italia.
Come funzionano i PIR
Ogni singolo PIR prevede un investimento minimo di 500 e un importo massimo di 30mila euro l’anno. L’investimento deve essere mantenuto per almeno 5 anni con un importo complessivo massimo di 150.000€. ll 70% di quanto investito deve essere destinato a strumenti finanziari emessi da imprese italiane. Ma anche da imprese europee, purché abbiano una stabile organizzazione in Italia. Di questo 70%, almeno il 30% deve essere investito in strumenti finanziari emessi da imprese che non sono inserite nell’indice FTSE MIB di Borsa italiana.
PIR: quali vantaggi
Dal punto di vista degli investitori, il vantaggio è quello di essere esentati dalle imposte sui capital gain sui rendimenti (cedole, dividendi). È prevista anche l’esenzione dall’imposta di successione in caso di trasferimento mortis causa degli strumenti detenuti nel piano di investimento.
A chi sono rivolti
Sono individuali e rivolti esclusivamente alle persone fisiche. In particolare ai piccoli investitori mentre sono gestiti dalle Sgr, cioè le società di gestione del risparmio gestito.
Introdotti da poco più di due mesi, i PIR hanno già sollevato polemiche sulla effettiva convenienza. Come sottolinea l’associazione dei consumatori Aduc, “attualmente vediamo poca convenienza per l’investimento in azioni e non vediamo nessuna convenienza per l’investimento in obbligazioni”.
Un esempio per capire meglio. Nel caso di investimento in azioni:
“Se ipotizziamo un rendimento medio del 5%, il risparmio fiscale sarà pari all’1,30% (il 26% del 5%). Questo costo è esattamente pari alle commissioni di gestione annue dei P.I.R. fin qui presentati (tra 1,20% e 1,35%). È vero che il risparmiatore può in teoria aprire un Piano Individuale di Risparmio, direttamente dal proprio deposito titoli, acquistare azioni che corrispondano ai requisiti illustrati sopra e godere dei benefici fiscali, ma questo richiede competenze molto specifiche e l’assunzione di un rischio più elevato (data la minore diversificazione che il singolo investitore è in grado di ottenere rispetto ad un fondo, a parità di importo investito).
Quindi, sempre nell’ipotesi di rendimento azionario con rendimento al 5%, l’investitore ha due alternative:
1 Investimento tramite ETF: costo annuo tra lo 0,18% e lo 0,35%. Imposta = 1,30%. Costo totale annuo = 1,48% – 1,65%
2 Investimento tramite P.I.R.: costo totale annuo = 1,20% – 1,35%
A fronte di questo vantaggio minimo (che diventa uno svantaggio per rendimenti inferiori al 5%), si deve tenere l’investimento per almeno 5 anni, quindi si ha un notevole vincolo in termini di liquidità.
Altro discorso per le obbligazioni. In questo caso l’associazione dei consumatori non ha dubbi nel bollare “l’investimento in obbligazioni tramite P.I.R. non conveniente”.
“Poiché i rendimenti saranno, almeno per ora, nettamente più bassi del 5%, il costo annuo (commissioni di gestione) dei P.I.R. è ben superiore al risparmio fiscale”.